giovedì 5 luglio 2012

Tributo a mia nonna

Il giorno della mia laurea mi alzai di buon mattino: ero agitato, nervoso e molto emozionato. Di lì a qualche ora sarei diventato dottore e la cosa mi suonava strana. Ancor più strano fu vedere mia nonna sedere sulla panca vicino alla porta blindata della casa in cui vivevo con lei. Era già pronta, con un vestito arancione, la borsa nera sulle ginocchia e gli immancabili occhiali da sole un po' sfumati verso il basso che nascondevano due occhioni azzurri pieni di bontà. Aveva i capelli fatti, aspettava con ansia che mi alzassi per venire con me al grande evento.
In realtà avevamo fissato che fosse mia zia a passare a prenderla, ma la nonna aveva sempre paura di fare tardi e, nonostante le mie rassicurazioni sull'orario (ero il quarto della sessione!), volle che fossi io a portarla in Facoltà e non la spaventò nemmeno la prospettiva di dover attendere per mezza mattinata il mio turno sullo scomodo muricciolo davanti al padiglione D15.
Gli eventi dimostrarono che le sue paure erano fondate: infatti, dal quarto che dovevo essere divenni il secondo, a causa di un paio di forfait, e di conseguenza quasi tutti gli invitati alla mia laurea (genitori e zie compresi) fecero tardi. 
Così, mi ritrovai ad entrare in quell'aula così lunga e moderna, davanti a quei professori così annoiati dal solito tran-tran delle lauree, con un pubblico fortemente ridotto, tra cui però spiccava la capigliatura impeccabile della mia dolcissima nonna.
Oggi che non c'è più penso a tutte le volte, come quella alla laurea, in cui aveva ragione. Penso agli anni (otto) che ho trascorso nella sua casa, ripenso a qualche litigata e ai tanti scherzi che le facevo e che lei ricambiava con una battutaccia o con un sorriso pieno di felicità. Penso alle volte in cui mi salutava facendo capolino nell'oblò dell'ascensore, o a quando, per dirmi ciao, agitava la mano dalla terrazza tutta felice, pur senza vedere dove fossi per i suoi problemi agli occhi. Ripenso alle lacrime che versava non appena si parlava di mio nonno, scomparso dodici anni orsono, e anche a quelle (facili) che lasciava cadere quando era felice per qualcosa: un regalo, un'emozione, un evento particolare.
Queste ultime lacrime le versò il giorno della mia laurea, al riparo degli occhiali, e di nuovo, più recentemente, il giorno in cui festeggiammo il buon esito del mio esame di Stato. Penso che sicuramente avrebbe pianto di gioia anche il giorno del mio matrimonio e chissà, quando succederà, magari la troverò seduta sin dall'alba davanti alla porta della mia nuova casa in attesa che mi alzi, già pronta nel suo abito arancione, con la borsa nera sulle ginocchia, i capelli fatti e gli occhiali fumé, con l'identico obiettivo di nascondere le lacrime già pronte e il costante intento di non fare tardi. 
Oggi sono io che piango appena le penso, poi d'un tratto la sua immagine scherzosa fa capolino nei miei pensieri proprio come dall'oblò dell'ascensore: e allora inizio a sorridere.  

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