Il 30 dicembre è tempo di bilanci, di speranze, di promesse. Non è troppo presto per raccontare il vecchio anno, essendone il penultimo giorno e non è il 31, quando ormai la mente è attratta da quel vortice in salsa ritorno al futuro, che da lì a qualche ora conduce tutti, inconsapevoli ma festanti, nell'anno che verrà.
Per questo, alle 8 di quella mattina, gli chiesi che cosa volesse tenere del vecchio anno e cosa si aspettasse dal nuovo. Era seduto sul mio divano, le gambe incrociate. Era alto e ben vestito, apparentemente solo. Mi guardò assonnato, inarcando il sopracciglio destro, segno di una evidente difficoltà nel rispondere. Sosteneva infatti che l'anno che si stava per chiudere non gli avesse lasciato niente, fatta eccezione per una lunga attesa del lavoro, un piccolo gruzzolo in banca e un grande senso di inadeguatezza. Trecentosessantacinque giorni senza nessun considerevole risultato, nè sul piano professionale, nè su quello amoroso.
Proprio da lì partiva la sua riflessione sull'anno che sarebbe iniziato due giorni dopo. Sosteneva infatti che gli ultimi giorni fossero stati forieri di una novità, una piccola grande conoscenza, di quelle che ti fanno impallidire mentre ti emozioni, di quelle che ti fanno scaldare il cuore mentre devi stare attento a non inciampare nel tavolino del salotto, di quelle che agogni e che non trovi mai, o quasi mai.
Mi disse che nel 2011 avrebbe voluto un sogno, una piccola poesia quotidiana, una passione, un amore. Nell'anno nuovo, poi, voleva togliersi un macigno che si chiamava esame, aggiunse che quello sarebbe stato importante per sentirsi finalmente in pace con sè stesso, per non avere quell'odiosa sindrome di una persona che si è persa per le scale e non sa quanti gradini manchino prima di arrivare al piano da lui desiderato.
Nel 2011 avrebbe voluto inoltre guardare avanti, finalmente padrone della sua vita e delle sue scelte, ma per guardare avanti avrebbe dovuto prima di tutto confrontarsi con il passato e con quel senso di inadeguatezza che aveva permeato tante delle sue giornate.
Che strano -pensai mentre mi facevo la barba- era un personaggio così familiare. Aveva la mia stessa espressione, il mio identico modo di emozionarsi parlando di alcune cose, aveva gli stessi miei desideri per l'anno che verrà.
Per questo, alle 8 di quella mattina, gli chiesi che cosa volesse tenere del vecchio anno e cosa si aspettasse dal nuovo. Era seduto sul mio divano, le gambe incrociate. Era alto e ben vestito, apparentemente solo. Mi guardò assonnato, inarcando il sopracciglio destro, segno di una evidente difficoltà nel rispondere. Sosteneva infatti che l'anno che si stava per chiudere non gli avesse lasciato niente, fatta eccezione per una lunga attesa del lavoro, un piccolo gruzzolo in banca e un grande senso di inadeguatezza. Trecentosessantacinque giorni senza nessun considerevole risultato, nè sul piano professionale, nè su quello amoroso.
Proprio da lì partiva la sua riflessione sull'anno che sarebbe iniziato due giorni dopo. Sosteneva infatti che gli ultimi giorni fossero stati forieri di una novità, una piccola grande conoscenza, di quelle che ti fanno impallidire mentre ti emozioni, di quelle che ti fanno scaldare il cuore mentre devi stare attento a non inciampare nel tavolino del salotto, di quelle che agogni e che non trovi mai, o quasi mai.
Mi disse che nel 2011 avrebbe voluto un sogno, una piccola poesia quotidiana, una passione, un amore. Nell'anno nuovo, poi, voleva togliersi un macigno che si chiamava esame, aggiunse che quello sarebbe stato importante per sentirsi finalmente in pace con sè stesso, per non avere quell'odiosa sindrome di una persona che si è persa per le scale e non sa quanti gradini manchino prima di arrivare al piano da lui desiderato.
Nel 2011 avrebbe voluto inoltre guardare avanti, finalmente padrone della sua vita e delle sue scelte, ma per guardare avanti avrebbe dovuto prima di tutto confrontarsi con il passato e con quel senso di inadeguatezza che aveva permeato tante delle sue giornate.
Che strano -pensai mentre mi facevo la barba- era un personaggio così familiare. Aveva la mia stessa espressione, il mio identico modo di emozionarsi parlando di alcune cose, aveva gli stessi miei desideri per l'anno che verrà.