giovedì 30 dicembre 2010

Tempo di bilanci

Il 30 dicembre è tempo di bilanci, di speranze, di promesse. Non è troppo presto per raccontare il vecchio anno, essendone il penultimo giorno e non è il 31, quando ormai la mente è attratta da quel vortice in salsa ritorno al futuro, che da lì a qualche ora conduce tutti, inconsapevoli ma festanti, nell'anno che verrà.
Per questo, alle 8 di quella mattina, gli chiesi che cosa volesse tenere del vecchio anno e cosa si aspettasse dal nuovo. Era seduto sul mio divano, le gambe incrociate. Era alto e ben vestito, apparentemente solo. Mi guardò assonnato, inarcando il sopracciglio destro, segno di una evidente difficoltà nel rispondere. Sosteneva infatti che l'anno che si stava per chiudere non gli avesse lasciato niente, fatta eccezione per una lunga attesa del lavoro, un piccolo gruzzolo in banca e un grande senso di inadeguatezza. Trecentosessantacinque giorni senza nessun considerevole risultato, nè sul piano professionale, nè su quello amoroso.
Proprio da lì partiva la sua riflessione sull'anno che sarebbe iniziato due giorni dopo. Sosteneva infatti che gli ultimi giorni fossero stati forieri di una novità, una piccola grande conoscenza, di quelle che ti fanno impallidire mentre ti emozioni, di quelle che ti fanno scaldare il cuore mentre devi stare attento a non inciampare nel tavolino del salotto, di quelle che agogni e che non trovi mai, o quasi mai.
Mi disse che nel 2011 avrebbe voluto un sogno, una piccola poesia quotidiana, una passione, un amore. Nell'anno nuovo, poi, voleva togliersi un macigno che si chiamava esame, aggiunse che quello sarebbe stato importante per sentirsi finalmente in pace con sè stesso, per non avere quell'odiosa sindrome di una persona che si è persa per le scale e non sa quanti gradini manchino prima di arrivare al piano da lui desiderato.
Nel 2011 avrebbe voluto inoltre guardare avanti, finalmente padrone della sua vita e delle sue scelte, ma per guardare avanti avrebbe dovuto prima di tutto confrontarsi con il passato e con quel senso di inadeguatezza che aveva permeato tante delle sue giornate.
Che strano -pensai mentre mi facevo la barba- era un personaggio così familiare. Aveva la mia stessa espressione, il mio identico modo di emozionarsi parlando di alcune cose, aveva gli stessi miei desideri per l'anno che verrà.

lunedì 27 dicembre 2010

Insomnia

Le 1 della mattina. La giovane notte sta volgendo al riposo quando arriva un delicato bip dalla mie splendide cuffie bianche che fanno molto cool. Chi sta scrivendo, mi domando ansioso. Chi sta tentando di mettersi in contatto con me? I rumori della strada sono sempre vivi, le macchine fanno su e giù per questo asfalto morto che passa sotto casa mia. La sensazione è di sorpesa quando vedo quel volto che mi cerca, forse un piccolo fuocherello si accende nel mio petto: come mai mi vuole parlare? Ci sei, queste sono le lettere che si incidono in una tastiera a centinaia di chilometri da me.
Io non resisto, e rispondo subito. La tentazione è troppo forte, ho la calamita nelle mani.
Fa freddo, eppure il riscaldamento è acceso. La luce da salotto vicino al divano illumina poco la stanza. La televisione presenta una losca figura che blatera a vuoto di fronte a me, ma i miei occhi sono troppo concentrati e presi dall'eccitazione delle sue risposte.
Sono le due, la birra sul tavolino è ormai agli sgoccioli, il caffè è rimasto nella cialda, a causa della scarsa attenzione per le prese elettriche della donna delle pulizie. Le macchine sono sempre più rarefatte qua sotto, ma quell'etereo suono che annuncia un messaggio è sempre presente nelle mie cuffie che cantano "Sailing". E' entusiasmante, illuminante, ammaliante. E' più potente di una tisana di caffè che comunque non potrei farmi. C'è una strana poesia che mi anima, una sensazione di felicità che sottende ad ogni mia risposta.
Scapperò mi dice alle tre, non ti dirò perchè mi sussurra alle quattro, mentre la luce accanto al divano mi guarda stanca e le poche macchine parcheggiate mi scrutano annoiate. Ma io non ho sonno, chiedo il perchè di tanta fermezza, ottengo una risposta che non mi sarei aspettato.
Scapperò e non ti cercherò più, mi ripete alle cinque. Mi troverai sempre, replico attento. Intanto, qualche pendolare prende nel freddo la strada del lavoro e la luce vicino a me si spenge, esausta.
La tv parla a vuoto ormai da ore ma rimane lì accesa, come se il tempo si fosse fermato secoli prima.
Andiamo a letto è il suo messaggio delle sei. Mi odi, aggiunge, mentre la finestra è sempre aperta ma stavolta fa capolino il sole. Non ti odio affatto, parlare con te è stata la migliore scelta che potessi fare stasera, penso mentre apro gli occhi per andare a lavoro. Sono le sette.

martedì 21 dicembre 2010

Al buio

La neve è ancora ai lati della strada, il freddo pungente è mitigato dal mio giaccone nuovo, che finalmente mi svecchia un po', senza lasciarmi completamente inebetito dentro un involucro troppo leggero per le temperature di questa gelata stagione.
La giornata lavorativa volge ormai al termine, per niente scossa da eventi imprevedibili, per niente amareggiata da scontri coi colleghi. Rimane però un dispiacere di fondo: essere parte di qualcosa, in modo episodico e marginale, farlo senza sentirla tua e senza pensare di avere la benchè minima considerazione per quello che produci.
Ti senti un carpentiere della notizia, un manovale della voce, pronto a confezionare il file nel minor tempo possibile, con lo studio che ne risente immensamente e il cartello affisso in camera mia (che recita: "stai attento, Venezia ti osserva"), già inascoltato dopo appena due giorni dalla sua creazione. Ti sacrifichi. Pensi di farlo per i soldi ma hai la certezza che quei soldi non arriveranno mai.
Per fortuna hai evitato la cena, ci mancava solo quella a riempirti l'inutile serata. Arriva un sms: non è quello che aspettavi. Una collega ti chiede se andrai alla festa degli auguri, tu rispondi che hai un impegno e che finirai tardi. Lei insiste, ti chiede di passare almeno per il caffè. Tu opponi una testarda resistenza, di quelle che hai opposto fin da bambino alle cose che non ti andavano a genio.
Lei fa l'offesa ed ecco che tu ammorbidisci il tuo atteggiamento, prima scusandoti incomprensibilmente e poi promettendo di fare un salto a quel ritrovo forzoso.
Dopo qualche ora, arriva il momento di andarci, tu ti liberi di corsa, dal tuo logorroico impegno. Ti metti in macchina e arrivi a pochi passi da quel ristorante in cui non avresti mai messo piede.
Le mandi un sms: specifichi che andrai solo per farle piacere e lei con cosa se ne esce? Ti risponde che ormai sono alla fine e che non importa che tu li raggiunga. Tu sei lì fuori, con il cellulare in mano e avresti voglia di scaricarlo a terra. Solo i 29 euro che devi pagare per 30 mensilità ti fanno desistere.
Una volta in macchina, ti metti in cerca di rock. Per fortuna trovi i Cure, che ti riconciliano con la notte, più buia di un pezzo dark.

martedì 14 dicembre 2010

Notte prima degli esami

Un mal di gola cronico, un taglio sguaiato di capelli, un nascondino protratto per qualche ora di troppo nella macchina di sua mamma. Se ripensa a questi episodi, gli sembrano accaduti tanti anni fa, chissà dove. In realtà il protagonista di queste tre storie è proprio lui. E si parla di quando aveva poco più o poco meno di otto anni, di quando le radio italiche trasmettevano "ti lascerò" di Fausto Leali e Anna Oxa, mentre quelle più coraggiose passavano i successi di "joshua tree" di Bono & co., subito prima di lanciare "love in elevator". Siamo partiti da questa storia perchè mi voleva spiegare. Spiegare cosa ancora non lo sapevo. Continuava imperterrito a parlare, mentre i miei occhi assumevano un'espressione sempre meno intelligente e la mia pelle diventava man mano più olivastra per via dell'orario, sconveniente al massimo per un esaminando come me.
Alla fine si decise a spiegare il perchè di quelle storie così lontane: era solo un bambino, ma covava già, senza predisporre i necessari anticorpi, la maggior parte dei difetti che avevano caratterizzato i suoi primi trent'anni.
La presunzione di sapere già cosa gli dirà il suo commensale, l'ambizione di conoscere ciò che farà piacere alle persone che lo circondano, o che incontra e un' innata vocazione ad essere influenzato dai pensieri altrui, rivelatrice senz'ombra di dubbio di un'insicurezza di fondo che percepisce ancora, a distanza di così tanto tempo da quei curiosi episodi. In particolare, è inconcepibile l'incapacità di cambiare schema nei rapporti umani e in quelli con l'altro sesso, che denota una inclinazione calciofila nell'affrontare le amicizie, le passioni e gli amori, o almeno quelli creduti tali.
Nella sua spiegazione fiume, arriva finalmente il nocciolo della questione e l'ultima storia che mi racconta è legata a una ragazza.
Molto bella, forse più bella di lui, il nostro amico dalle idee geniali decide di corteggiarla, spinto da miti consigli di una sua amica ancor più bella. Non si preoccupa di una certa parsimonia della sua corteggiata nel rispondergli, costruendo nei rarefatti sms un film tutto suo, che prevedeva amore, famiglia, anni e anni di felicità, proprio quella di cui sentiva la mancanza in quel momento. Una felicità stabile, slegata dagli eventi quotidiani, che assorbisse e forse guidasse la sua vita.
Come accade sovente in queste cose, più vai in alto più cadi sotto terra. Ma, pur rendendosene conto, lui era partito in quarta e andava diritto per la sua strada come un pandino che prende un senso unico ignorando il divieto e poi viene inevitabilmente schiacciato da un tir.
E così il nostro amico si è schiantato contro l'autotreno che non ti corrisponde e a me tocca l'arduo compito di consolarlo, di riappacificarlo con sé stesso e i suoi drammi da disilluso, molto più piccoli di quelli del bambino nascosto nella macchina che aspettava che qualcuno andasse a cercarlo. Saprò essere convincente? Saprò recuperarlo a quest'ora della notte, con un esame che fa capolino tra la luna e Sirio e mi sussurra, prima dolcemente, poi sgarbatamente, quasi con fare da orco, di andarmene a letto?

giovedì 14 ottobre 2010

Burraco al sapore di Strega

Le luci che provenivano dal capannone a sinistra richiamarono la nostra attenzione ancor prima della grande sala in fondo al vialetto. Sentivamo un crescente rumore di pattini che scavavano piccoli sentieri concentrici: era in corso un allenamento di pattinatrici. Non vedevamo i loro volti, ma ben presto fummo capaci di intuire i loro fisici atletici dalle ombre che le ragazze proiettavano sulla pista.
La porta d'ingresso della grande sala, tuttavia, era nella direzione opposta e ben presto il nostro sguardo fu costretto a individuare senza ulteriori esitazioni la meta della nostra serata.
Appena entrammo, il nostro stupore fu evidente. Pensavamo di essere arrivati nel luogo di una riunione impegnativa, affollata, calda per toni e contenuti. Invece la grande sala era praticamente vuota, senza un segnale di un dibattito in previsione.
Nemmeno un giovane intorno a noi, soltanto persone avanti con l'età occupavano tre tavoli isolati, che sembravano navicelle alla deriva dentro un oceano senza fine.
Ci guardammo imbarazzati e sentimmo ben presto gli occhi dei pochi presenti posarsi su di noi. Eravamo visibilmente fuori posto: tra una partita a tressette e una sfida di burraco, tra un chivas regal e un amaro Strega. Dopo qualche convenevole con il sorriso stampato in faccia, iniziammo pian piano a scivolare verso il fondo della sala vuota, a passi lenti, cercando di mimetizzarci tra una bussata vigorosa e un fortunato tris di pinelle. Camminavamo all'indietro, sembravamo gamberi timorosi di finire in salsa rosa. Per fortuna le diottrie dei presenti nella grande sala erano troppo poche seguire la nostra abile fuga.
Appena fuori ce ne andammo velocemente. Le luci del capannone erano spente, le ragazze coi pattini ormai sulla strada di casa. Un uomo sulla panchina si illuminò il volto accendendosi una sigaretta. Fischiettava un pezzo dei Ramones. Credo fosse Outsider

mercoledì 6 ottobre 2010

Una notte diversa da tante

Ogni mattina inizia con il fastidioso suono di una sveglia programmata con rassegnazione la sera prima, in mezzo ai rimpianti per non aver fatto abbastanza nella giornata appena conclusa.
Quel giorno, tuttavia, iniziò già la notte precedente, perchè andava vissuto senza alcuna soluzione di continuità. Non riuscivo a chiudere occhio, non potevo dormire: quello che sarebbe accaduto di lì a qualche ora era troppo importante per potersi riposare.
Nel buio intenso di quella notte -non saprei dire che ora fosse di preciso- mi tornarono in mente tutti i buoni propositi di quei mesi e tutte le vane promesse che avevano ispirato il mio pensiero ingenuo e credulone.
Riaffiorarono a poco a poco i tempi vissuti in un'azienda senza speranza alcuna di rimanervi, gli incontri improbabili su e giù per le scale che portavano al mio ufficio, tra una pratica da trasferire e un caffè perditempo da agognare. Riascoltai nella mia testa le conversazioni proibite, udite per caso (ma non troppo) nella stanza privata accanto alla mia postazione, da cui potevo sentire qualsiasi sospiro, grazie a una parete prefabbricata, non chiusa completamente, che faceva la fortuna delle persone curiose come me.
Mi si ripresentarono i fantasmi delle attese vane, quelle che non finiscono mai e che ti logorano, senza risparmiarti un solo organo e una sola sensazione di insufficienza, di inadeguatezza, di imbarazzo. L'attesa di una telefonata, di un colloquio, di una possibilità si erano d'improvviso trasformate in qualcosa di più grande e di più imprevedibile che avrebbe potuto dare una svolta alla mia vita.
Mentre ripercorrevo quegli ultimi mesi, mi venne spontaneo un confronto coi due anni precedenti, passati senza uno stipendio a fotocopiare pagine più o meno piene di caratteri Bookman Old Stile 12, con qualche altra scritta in un corsivo stentato che, anche a un'attenta lettura, sarebbe sembrata un'incerta onda anomala, che trasformava sovente le effe in pi.
Che mondo strano è quello di coloro che dovrebbero insegnarti qualcosa che probabilmente non conoscono neppure loro. Molto meglio il mondo dei narratori, che, a volte, possono permettersi il lusso di inventare una storia per non sembrare impreparati.

lunedì 13 settembre 2010

Ho visto cose che voi umani...

Mi girai e lo vidi. Sempre elegante e forbito nell'eloquio, con un occhio guardava il pc e con l'altro scrutava maliziosamente le mie giovani colleghe. Faceva un rumore fastidioso con il suo lento sogghignare: sembrava che stesse cercando di conquistare le sue interlocutrici con le sue affabili parole e con quelle sterili battute che non avrebbero fatto ridere nemmeno una ragazza ubriaca il venerdì sera.
Il Tenente Colombo -così lo chiamavamo per via dell'occhio ballerino- era sempre in cerca di nuove conquiste. Era ossessionante, non mollava l'agognata preda nemmeno per un secondo, cercava di circuirla in ogni attimo della conversazione. Pensava di essere un Don Giovanni guercio, ma era certamente l'uomo meno desiderato e più scansato di tutto quel piccolo universo. Forse avrebbe voluto essere un latin lover ma in realtà era più simile alla speranza che non si realizza mai, nemmeno dopo mesi di astinenza, nemmeno da solo su un'isola deserta.
Era strano che percepissi la sua diffidenza: non me ne fregava niente di lui e dei suoi modi da galantuomo di terza categoria. Ma quella diffidenza era forte e penetrava nel mio animo rinfrancato dal precedente finesettimana pieno di novità. Chissà, forse aveva capito che non lo sopportavo. Forse era semplicemente più infastidito della mia presenza di quanto io fossi della sua.
Mi spostai dal raggio del suo occhio sinistro e, come per magìa, quello cominciò a seguirmi, improvvisamente meno attento alle ragazze che lo circondavano e più incuriosito dal mio incessante messaggiare.
Sembravamo su due universi paralleli: lui scriveva al computer guardandomi, e io lo guardavo incidendo i miei polpastrelli sulla tastiera a sfioro del mio cellulare. Appena inviato il primo sms, cominciai a fissarlo e lui fece altrettanto, coi suoi occhi finalmente uniti sulla stessa immagine. Era sul punto di dirmi qualcosa: la sua mente stava articolando una domanda indiscreta, un interrogativo ozioso al quale io avrei cercato di non rispondere.
Proprio mentre Colombo stava per rompere gli indugi, il mio telefono iniziò a vibrare per il messaggio di risposta e, come se non bastasse, il pc davanti a lui iniziò a emettere un piccolo suono tanto fastidioso quanto la sua odiosa risata.
Mentre ero concentrato sulla lettura del secondo sms, lo sentii agitarsi per quell'imprevisto informatico, che aveva cancellato tutto il suo lavoro. Se ne uscì di corsa con un occhio fuori dall'orbita e l'altro fermo nella sua rabbia cocente per l'accaduto. Quando alzai gli occhi non c'era più traccia di lui e della sua diffidenza. Un messaggio ti salva la giornata, a volte. O forse spesso.

lunedì 6 settembre 2010

Sensazioni

Il venerdì sera è sempre un momento fantastico: sei appena uscito cotto da lavoro e hai davanti due giorni di spazio vitale, non compressi dalla sveglia mattutina o dalla pausa caffè pomeridiana. Sei rilassato, e ciò che dentro di te era teso per la settimana appena trascorsa, si allenta piano piano, come un nodo stretto troppo poco per poter resistere agli eventi della giornata. Se prima cercavi con ansia quel momento di pace, adesso lo hai finalmente trovato e devi solo coglierne l'essenza nel silenzio del tuo cervello che piano piano riprende a pensare in 3D, senza più appiattirsi al sistema numerico binario del lavoro davanti al computer.
Quel venerdì sera però era ancora più eccitante del solito, c'era qualcosa che lo rendeva speciale. Era una sensazione di attesa mista a curiosità, di insicurezza mista a timore, di felicità mista a esaltazione. Le sensazioni si mescolavano in un frappè di sentimenti e aumentavano di ora in ora, per nulla scalfite dal ticchettio ronzante di un orologio o dal rumore silenzioso di un condizionatore.
Improvvisamente un telefono inizia a vibrare, un nome appare sul display, la sensazione si fa sempre più forte, assordante, onnipresente. Esplode l'orologio, il rumore del condizionatore diventa la sirena di una nave. Il frappè è finito definitivamente sul pavimento.
L'attesa è terminata, il treno è arrivato alla stazione. Dal fondo del binario si avvicina lentamente una figura radiosa. Sei consapevole che questo è solo l'inizio. Ti sembra un sogno, e forse lo è.

mercoledì 1 settembre 2010

Ricomincio da capo

Phil Connors, alias Billy Cristal, è un insopportabile metereologo televisivo, che, catapultato in una piccola città della Pennsylvania per il Giorno della Marmotta, ogni mattina si trova a rivivere sempre la stessa giornata. Per mia sfortuna, la trama di "Ricomincio da capo" si addice perfettamente alla mia quotidianità.
Vi posso assicurare che, se cercassi qualcosa che mi fa arrabbiare più di quello che mi è successo anche oggi, troverei almeno tre milioni di cose. Un gol fantasma concesso all'avversario nella prima di campionato è certamente molto più fastidioso per i miei gusti, e, allo stesso modo, una nuova rigata sulla mia splendida macchina, o l'ennesima scadenza delle tasse, sono estremamente più distruttivi per la mia pazienza swarovskiana.
Tuttavia, se cercassi qualcosa che odio più di ciò che mi è ricapitato oggi, difficilmente lo troverei. Io odio l'improvvisazione sistematica, la rincorsa continua di qualcosa che non è ben chiaro neanche a chi ti chiede uno sforzo o un documento in più. Considero questo modo di fare piuttosto infantile e sintomo di mancanza di chiarezza interiore.
Non voglio certo astrarre quanto mi è accaduto nel tentativo di carpirne una regola comportamentale o una tendenza psicologica, della quale non sarei comunque in grado di parlare.
Il mio intento è piuttosto quello di banalizzare tutto ciò e paragonarlo al lavoro nel buio di una miniera con una luce fioca sopra il casco protettivo, che illumina di volta in volta qualcosa di nuovo e non conosciuto finora.
Forse pianificare non è sempre possibile, forse chi, come me, ama la chiarezza lo fa perchè ha paura dell'incertezza e del buio dentro la miniera, però riguardare per dieci volte la stessa pratica per colpa di una spiegazione non esauriente ha lo stesso effetto di vivere sempre lo stesso giorno: una tortura senza fine.

giovedì 26 agosto 2010

Horror vacui

La paura del vuoto non è per me un concetto psicologico, artistico o scientifico. Nel mio caso, infatti, affronto pressochè tutti giorni un horror vacui molto più concreto.
Cominiciando a spiegarmi meglio, è bene che premetta che il vuoto di cui sto parlando è un vuoto di lavoro, da non confondersi (attenzione) con il vuoto lavorativo, cioè la paura di rimanere senza un posto di lavoro stabile. Quest'ultima eventualità non mi tocca per adesso semplicemente perchè non ho un lavoro fisso e quindi -per dirla con un proverbio cinese- "occhio non vede, cuore non duole".
La paura del vuoto di lavoro è invece il timore di stare in ufficio senza avere niente da fare. Se, infatti, le mattinate volano quando sei pieno di scartoffie sulla tua scrivania e quando hai decine di pratiche da controllare e ti sembra di essere un ghepardo da come ti muovi veloce nella giungla delle difficoltà che ti si propongono, quando alle 11.10 ti trovi, con la pausa caffè già fatta, senza più nulla da evadere, ti senti una tartaruga imbranata senza il suo guscio e l'ora della pausa pranzo (normalmente le 13) è più lontana dell'Australia e non arriva mai a consolare il tuo pietoso stato d'animo.
Adesso che sono le 14.05, con la pausa pranzo fatta (per fortuna dal salumiere e non dal benzi-ristorante), mi trovo nella stessa condizione di cui sopra, con la sostanziale differenza però che adesso sto aspettando le 18 senza sapere più cosa inventarmi, avendo già fatto tutto il mio lavoro.
Questo quindi è il mio horror vacui odierno. Senza pensare a cosa accadrà domani...

venerdì 13 agosto 2010

Vacanze

Più che dal ritmo incalzante di London Calling, la mia vacanza londinese è stata caratterizzata dalla euforia incessante di Lust for Life, passando per la perfezione del Britpop, racchiusa in Common People dei Pulp, che in qualche modo riporta alla mente la metamorfosi di certe serate che iniziano lente e piano piano diventano notti indimenticabili, in cui il divertimento raggiunge il top quando aspetti, seduto su un muricciolo, un Double Deker con la scritta 74 che non arriva mai.
Un hotel imbarazzante (probabilmente il più brutto che abbia mai visto) ci ha accolti, con le sue porte cadenti e la ruggine nel bagno, che stava lì dai tempi della Tatcher, o forse dei Beatles, chissà. Un letto scomodissimo mi ha poi rapito, con le sue molle appuntite da tortura per la mia schiena, condannata con il mio corpo a un difficile sonno.
A una rapida sveglia ci pensavano invece le tende rotte. E grazie a loro aprivo gli occhi giusto in tempo per vedere l'aurora londinese, ancora nel mezzo del sonno testimoniato dalle grandi occhiaie che arricchivano di un color oliva la mia faccia pallida in perfetto stile british.

Per fortuna che il giorno e la notte pensavano a riabilitare la mia permanenza in Inghilterra, tra il piacere morboso di vedere Londra al mattino e la sempre maggiore voglia di viverla di giorno nei suoi pub pieni di birra e di fritto (il primo che mi offre una patata fritta lo gonfio) e di notte nei suoi club pieni di divertimento a ritmo di rock.
Che bella Londra, avrei voglia di trasferirmi domani e, se trovassi un lavoro, lo farei senza dubbio alcuno. Purtoppo i sogni difficilmente si realizzano e questo mi sembra uno di quelli che rimarrà bianco, come la tela di un'artista che ha perso l'ispirazione senza saper perchè.
Al mio ritorno ho ritrovato la mia piccola casa fiorentina, i miei parenti sempre splendidi e i miei pensieri sempre più strutturati, nemmeno fossero cresciuti dopo una settimana di black out.
E adesso ho ritrovato anche la spiacevole sensazione di essere raffreddato, con il naso tappato e la voce molto simile a quella dei trans che popolano (qualcuno anche di giorno) le strade qua intorno.
Lunedì si ricomincia: settimana tipo di lavoro e radio domenicale, senza dimenticarsi lo studio, un po' trascurato in quest'ultimo periodo. Putroppo il periodo più bello di questa pazza Estate è ormai alle spalle. Diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.

venerdì 30 luglio 2010

Una settimana e un giorno

No, non è la canzone dei Velvet e Bennato, ma è il tempo che è trascorso dall'ultimo mio post. Non credo che i miei venticinque lettori (in realtà molti meno di quelli di manzoniana memoria) avranno sentito la mancanza dei miei commenti al mondo e alla vita, ma mi scuso lo stesso per l'apprensione che devono aver avuto gli avventori del mio piccolo blog. Tranquilli, non sono morto, non sono stato inghiottito da nessuna balena al mare (dove non ho ancora messo piede), nè schiacciato in stile Joe Black dai mezzi pesanti di cui parlavo nel mio precedente aggiornamento.
Sono sempre in questo mondo e ne avverto i difetti, le passioni e le impareggiabili ironie.
Questa settimana mi hanno pagato. Ben 127 euro per otto ore al giorno, cinque giorni alla settimana. Una cifra da capogiro, cui stento a credere ancora. Penso che lo Stato (con la S maiuscola, non si sa mai) abbia fatto bene a tassarmi quest'anno, altrimenti mi sarei montato la testa per questa montagna di Euro che mi ha sommerso. Proporzionalmente mi danno più per mangiare che per lavorare (i ticket sono da € 5.29) e questo non fa bene al mio rotondo fisico. No, non gli fa per nulla bene.
Questa settimana è uscito il calendario del campionato. La Fiorentina esordirà contro il Napoli in casa. Un inizio difficile, non c'è che dire. Difficile soprattutto per le Forze dell'Ordine (anche qui tutto maiuscolo), che dovranno contenere l'orda di napoletani (saranno meno di cinquemila?) sotto il sole dell'ultima domenica d'Agosto. Quello sarà il primo test per la Tessera del Tifoso (maiuscolissimo). Io non sono contrario di principio alla Carta Orgoglio Viola, ma mi piacerebbe che la legge valesse per tutti. Mi spiego meglio: vorrei che da Napoli venissero in trasferta solo coloro che hanno la benedetta Tessera, nel caso in cui fossero adottate le restrizioni del caso. Mi domando: sarà possibile? La risposta è naturalmente che siamo in Italia e che la legge non ha nessun valore nemmeno per coloro che la fanno, figuriamoci per gli ultras del San Paolo.
Questa settimana si è spaccato il PDL. Fini ha rotto con Berlusconi e ha fondato il gruppo "Futuro e Libertà", dopo essere stato espulso da Silvio per aver abusato dell'ora di libertà concessa (?) dallo Statuto del Partito dell'Amore. Questa settimana, ma solo questa, ho ammirato il coraggio e la tenacia del Compagno Gianfranco.
Questa settimana, per la precisione ieri, una tempesta monsonica mi ha sorpreso nella pausa pranzo e mi ha bagnato come un pulcino. Sono andato a mangiare completamente mezzo, con la camicia attaccata alla pelle (e anche alle palle) e il salumiere davanti a me che rideva senza ritegno per la mia condizione francamente imbarazzante. Mi ha preso per il c**** anche la portiera dell'ufficio, e non aggiungo altro...
Questa settimana mi sono sentito fuori posto. Niente di particolare, solo sensazioni. Sensazioni che affollano la mente, sensazioni che nemmeno il tempo potrà portarmi via. Questa volta è davvero Bennato...

giovedì 22 luglio 2010

Pausa pranzo

Passeggiando nella calura estiva, tra il rumore di un tir che mi sfiora e lo stridore dei freni delle autovetture che si fermano alle rotonde che costeggiano il mio nuovo ufficio, il mio sguardo assonnato e annoiato per la mattina lavorativa cerca un posto dove mangiare qualcosa, sia esso un grande e prelibato ristorante o una tavola calda, di quelle in cui non ti fermeresti mai se non per soddisfare i tuoi istinti primitivi, tra una sedia di paglia aperta e un tavolo con sopra tre strati d'unto.
Alla fine, la ricerca della felicità s'imbatte in un benzinaio che sul retro ha un piccolo ristorante più simile alla tavola calda che al posto prelibato con ostriche e champagne nel menù. Certo, in una zona industriale non potevo trovare di meglio, e ordino un'insalata di tonno che sembra più un'invasione d'olio che un piatto commestibile.
Un po' diffidente e preoccupato per la mia salute, mangio quelle foglie croccanti piene di tonno ovunque e ingoio tutto alla svelta, come se la velocità rendesse immune il mio stomaco dai problemi di una cattiva digestione.
In meno di dieci minuti ho finito tutto e passo al caffè, che pare uscito dalla moka in quanto a colore e da un rubinetto in quanto a sapore. Mentre lo assaggio mi accorgo che è il peggiore che abbia mai bevuto.
Pago tutto e scappo da quel posto, ripercorro a ritroso la strada, ancora avvolta dalla calura estiva e dallo stridore dei freni, ancora piena di rotonde e del rumore dei tir. Tuttavia, se prima ero annoiato e assonnato per la mattinata lavorativa, adesso sono ansioso di tornare a lavorare. Potere della pausa pranzo.

sabato 10 luglio 2010

Pulpo a la gallega

Tra il rumore delle vuvuzelas e la noia di certe partite, tra i risultati che non si sbloccavano mai e l'affanno delle prime punte, tra l'altura che ti taglia il fiato e Iaquinta centravanti che il fiato te lo taglia lo stesso, il Mondiale 2010 sta per affrontare il suo atto finale. Finalmente, verrebbe da dire, dopo una rassegna iridata tra le peggiori della storia, forse seconda per bruttezza solo ai Mondiali di Corea-Giappone, dove la Corea arrivò in semifinale e ho detto tutto.
Se alcune edizioni dei Campionati del Mondo consegnavano alla leggenda grandi giocatori capaci di far sognare anche gli utenti più piccoli dell'universo calcistico, Sudafrica 2010 sarà ricordato negli anni per le infallibili previsioni del polpo Paul. Il simpatico animale oggi sarebbe milionario, se avesse scommesso sulle vittorie della Germania contro l'Australia, il Ghana, l'Inghilterra e l'Argentina e se avesse puntato sulle sconfitte della compagine teutonica contro la Serbia e contro la Spagna. E chissà se il divertente Paul avrebbe previsto anche la sconfitta dell'Italia contro la Slovacchia e l'eliminazione della Francia per mano di Uruguay, Messico e Sudafrica. Quelle sì che sarebbero state intuizioni foriere di grande quantità di denaro per chi avesse saputo leggerle in anticipo.
Domani alle 22.30 (salvo supplementari), l'Italia cesserà di essere Campione del Mondo ed era l'ora. Intendiamoci, abbiamo vinto con merito nel 2006, ma da allora non abbiamo rinnovato il gruppo e la conseguenza è stata (ahimè) la vergogna, il disastro e l'umiliazione. Speriamo che tutto ciò serva almeno per ripartire degnamente.
Per quanto mi riguarda non so per chi farò il tifo domani sera. La Spagna gioca nettamente meglio e nell'Olanda militano due personaggi odiosi del calibro di Robben e Van Bommel, quindi il pronostico sulle mie simpatie sembra scontato.
Nell'attesa di decidere per chi tifare, comunque, una previsione voglio farla. Non aprirò la scatola con i colori più accesi per mangiare una cozza come fa il mitico Paul, ma mi baserò sulla storia, come è mia abitudine. Spagna 1982: l'Italia di Zoff, Antognoni e Paolo Rossi batte contro tutte le previsioni il Brasile nel girone dei quarti di finale, arriva in finale e affonda la Germania, campione d'Europa in carica. Italia 1990: l'Argentina di Maradona perde la gara d''esordio contro il Camerun 1-0 ma arriva comunque in finale, dove però viene sconfitta dalla Germania degli interisti. Usa 1994: l'Italia di Baggio e Sacchi perde la prima partita 1-0, arriva tra lo scetticismo in finale e perde contro il Brasile di Romario ai calci di rigore.
Se dunque il polpo dice Spagna, la storia dice Olanda. Chi avrà ragione?

venerdì 2 luglio 2010

London Calling

Mentre ascolto "London Calling" e penso ad organizzare la mia futura vacanza londinese tra calcio, shopping e divertimento, inciampo in una strana notizia: "Consigliere provinciale in ospedale dopo un festino a base di sesso, trans e droga".
Ora, a prescindere dal partito del quale fa parte il simpatico rappresentante della Provincia di Roma (il PdL) e a prescindere dal fatto che il pezzo punti maggiormente sulla circostanza che il Consigliere, ad un certo punto della serata, abbia improvvisato un comizio dalla terrazza della casa dei suoi amici festanti, manco pensasse di essere a Hyde Park (avrei proprio voluto vederlo farfugliare amenità da quel terrazzo). A prescindere dal fatto che il nostro amico si sia in seguito svegliato in stato confusionale e che continui a sostenere di essere stato "incastrato dai trans" (ma una scusa un po' meno equivoca no?).
A prescindere da tutto questo, dicevo, un pensiero fa capolino nella mia mente: ma come si fa?
Mi spiego meglio: lungi da me fare il bacchettone o il moralista e voler insegnare agli altri come vivere, quando a stento conosco qualcosa io.
Ma come può una classe politica come la nostra -che raramente trova punti di contatto con la gente normale- riuscire ad allontanarsi dalla realtà a velocità doppia giorno dopo giorno? Come può continuamente predicare bene e razzolare male? E soprattutto, di questo passo dove andremo a finire?
Per dirla con i Clash, il mio timore è che annegheremo anche tutti noi che viviamo vicino al fiume.

lunedì 28 giugno 2010

Soloni

Il caldo si fa sentire di nuovo in questa fine di Giugno dominata dagli ottavi di finale del Campionato del Mondo, dagli errori arbitrali di Rosetti e Larrionda in versione Ovrebo, e dalla richiesta legittimo impedimento subito ritirata dal neoministro Brancher.
Il sole colpisce anche troppo duramente in questa parte dell'anno, arida e senza respiro come una rosa di gerico prima che l'acqua la trasformi nella pianta della resurrezione. E non colpisce solo Ayroldi e Rosetti (autori di un errore da terzo mondo del calcio), Larrionda e il suo assistente (svista da quarto mondo), il povero Capello (che resiste imperterrito sulla traballante panchina dell'Inghilterra), o la FIFA (che se la prende incredibilmente con la tecnologia, invece che con la sua costante e ottusa testardaggine nel negare l'applicazione della moviola in campo).
Il sole colpisce anche molti altri: i soloni che credono di conoscere il mondo e pretendono di insegnare a gente che ne sa più di loro, ma soprattutto il neoministro Brancher (ma ministro di cosa?) che, appena finito di giurare nelle mani del Presidente della Repubblica, era già talmente impegnato come Ministro da sollevare il legittimo impedimento in un processo che lo riguarda a Milano. Dopo le polemiche che lo hanno comprensibilmente investito, si è affrettato a sacrificarsi, annunciando che andrà al processo (che fatica!) ma, con la morte nel cuore, ha aggiunto "È indecente, non si è mai visto che l'Italia dopo aver perso i Mondiali se la prenda con me!".
Traslasciando il fatto che lui con il Mondiale non c'entra proprio nulla, ad essere precisi, non si era mai visto un Ministro senza deleghe nè portafoglio che avanza una richiesta di legittimo impedimento. E non si era mai visto neanche il legittimo impedimento, prima che una legge dello Stato lo introducesse, confermando in pieno il pensiero del grande Solone (quello vero): "La giustizia è come una tela di ragno: trattiene gli insetti piccoli, mentre i grandi trafiggono la tela e restano liberi".

giovedì 24 giugno 2010

Presunzione

Una Nazionale così non l'avevo mai vista. Prevedibile, intimorita, a tratti imbarazzante. Sembrava che la la squadra esperta, abituata ai grandi palcoscenici, fosse la Slovacchia, e che noi, l'Italia, fossimo la Cenerentola di questi Mondiali, nemmeno fossimo la Padania e non i Campioni del Mondo in carica.
Indubbiamente ci siamo meritati di uscire al primo turno, dopo tre partite ridicole, senza un tiro in porta, se si escludono quelli di Quagliarella negli ultimi dieci minuti dell'ultima partita. Un po' poco per i sogni di gloria del nostro CT, che voleva imitare Pozzo e non è riuscito nemmeno a migliorare le gesta di Bearzot, che a Messico '86 raggiunse almeno gli ottavi di finale, dopo aver superato un girone molto più difficile di quello che i nostri sedicenti eroi hanno dovuto affrontare in questa occasione.
Purtroppo la presunzione di Marcello Lippi ha assunto livelli smisurati dopo la vittoria del 2006 e di conseguenza questa spedizione è stata caratterizzata, prima ancora che dall'eliminazione al primo turno, da molte scelte discutibili del mister, che ha fatto di tutto tranne una formazione con un filo di logica, troppo spesso preso dalle suo ego per vedere quanto stesse sbagliando nel puntare sul blocco Juve.
Anche nella parita contro la imbattibile Slovacchia non si è capito il senso di giocare con un centrocampista come Gattuso, più vicino alla pensione che al campo, e con una punta centrale come Iaquinta, che non ha certo il gol nel sangue. Probabilmente puntare su Palombo e Quagliarella era troppo logico per l'uomo di Viareggio, convinto come non mai di essere più bravo di tutto e tutti.
La prossima volta che vinceremo un Mondiale sarà bene esiliare immediatamente il CT Campione del Mondo, per evitare di vedere scene come quelle di questo 2010, dove la minestra riscaldata è rimasta indigesta agli sportivi italiani, mai così umiliati.
A questo punto bisognerebbe ripristinare un'usanza che i tifosi azzurri misero in pratica quando accolsero i Vicecampioni del Mondo di Messico '70 con ortaggi e pomodori. Una circostanza ingiusta allora, che però oggi sarebbe quantomai opportuna di fronte a un gruppo che ha offerto prestazioni rivoltanti prima ancora che inaccettabili, un gruppo cui non interessava minimamente la difesa del titolo di quattro anni fa, un gruppo che non ha mostrato rispetto per la maglia azzurra e per la gente di questo paese. Vergogna.

lunedì 21 giugno 2010

Per un'Amica

A volte le brutte notizie ti prendono così, d'assalto, mentre stai festeggiando e ridendo, mentre sei emozionato per aver fatto qualcosa di immensamente piccolo ma che a te sembra immensamente grande. E così mentre sogghigni per questa assurda felicità, ti sembra impossibile che qualcuno, dall'altra parte del telefono, stia piangendo. Quando però tuo padre ti spiega il motivo con le sue parole rotte dal pianto, quello che sembrava fantastico torna a essere normale e le tue lacrime avvolgono d'un tratto il sorriso che avevi sul volto.
Se n'è andata Manuela Righini, una donna coraggiosa, tenace, ironica, sensibile, appassionata. La prima in Italia a parlare di calcio, un terreno ancora oggi dominato dal fiero maschilismo.
Ma soprattutto se n'è andata un'amica, una di quelle a cui avresti raccontato qualsiasi cosa, a cui avresti fatto ogni genere di domanda. Una vera amica che ti rispondeva sempre con un sorriso, che ti colpiva per la sua disponibilità e per la sua competenza, per la sua simpatia e per la sua vitalità. Quando nella mia esperienza radiofonica le rivolgevo qualche domanda impacciata, lei subito correva in mio soccorso dando un senso compiuto anche alle mie sconnesse parole.
Quando la chiamavo per farla intervenire in tv, rispondeva sempre: "Eccomi, sono pronta", e, anche se immersa nei miliardi di cose da fare, interveniva in diretta dicendo sempre qualcosa di assolutamente originale e condivisibile.
Se n'è andata una donna che ha affrontato la malattia con quel sorridente coraggio che oggi l'ha portata in Paradiso. Ciao Manuela, mi mancherai.

sabato 19 giugno 2010

Incomprensioni

Ho un brutto carattere. Intendiamoci, non sono cattivo, insensibile, antipatico o crudele, ma sono permaloso, almeno quanto lo è l'olio quando ci metti dentro troppo peperoncino e diventa piccantissimo. Proprio come quel genere di condimento per stomaci d'amianto, il mio caratteraccio porta a qualche incomprensione con i miei interlocutori: quando per troppo silenzio, quando per qualche parola, frase, espressione, atteggiamento esagerato o terribilmente sbagliato.
Forse saranno le tensioni o le attese, forse sarà (come dice qualcuno) che sono idiosincratico verso me stesso, o (come sostiene qualcun altro) che sono un buono a nulla, e ancora senza obiettivi nella mia vita, ma le incomprensioni che mi riguardano sono spesso relative al mio modo di fare e di essere. Pacato, ma non troppo. Simpatico, ma non troppo. Colto, ma non troppo. Tenace, ma non troppo. Buono, forse troppo.
Non parlo di incomprensioni come quella che hanno avuto Anelka e Domenech, con l'attacante francese che ha consigliato al suo allenatore come utilizzare in modo appropriato una parte del suo corpo, e nemmeno di difficoltà comunicative più profonde stile torre di Babele, ma proprio di percorsi diversi, lontani fra loro, senza un lembo di terra o un confine in comune.
Il feedback che ne viene fuori è alterato dal mio caratteraccio, che si chiude in sè stesso, quasi fosse nel mezzo di una battaglia medievale, intento a respingere al mittente i dardi infuocati, ferendo inesorabilmente l'avversario, che nella maggior parte dei casi non è tale.

giovedì 17 giugno 2010

La FIFA non ama la C

Con il termometro che sale inesorabilmente giorno dopo giorno, escono dai loro bunker le terribili zanzare del 2010, quelle che ti pungono due o tre volte prima di svegliarti ronzandoti sopra l'orecchio, nemmeno fossero lì a dirti: "guarda che bel capolavoro ho fatto sulla tua pelle, ho riprodotto Stonehenge".
Come la comparsa di amici che non senti da mesi è indice che stanno uscendo i risultati dell'esame da Avvocato, l'incessante ronzio delle zanzare è testimonianza che il solstizio d'estate è ormai alle porte. Per fortuna, però, il periodo estivo non porta con sè solo caldo e grandi scocciature di piccole dimensioni, ma anche giornate più lunghe, belle gite al mare nei finesettimana, e soprattutto un generale accorciamento del vestiario femminile.
In Olanda, questo benedetto effetto collaterale della calura estiva è stato anche oggetto di uno spot per una birra (che comprerò subito): tante belle ragazze vestite (poco) di arancione migliorano la vita degli steward da stadio, quelli che sono pagati per stare 90 minuti a badare al pubblico, di solito maschile, rozzo e anche piuttosto bruttino.
Non contenti di avere prodotto uno spot da applausi, gli olandesi, da bravi inventori di reality, hanno pensato di mandare una quarantina di bionde -sempre poco vestite- a seguire la prima gara dell'Olanda al Mondiale. Visibilità assicurata per il palcoscenico e per le curve delle signorine, questo deve essere stato il ragionamento degli ideatori di questo geniale escamotage.
In effetti le ragazze sono state fin troppo osservate, tanto che la FIFA ne ha chiesto l'arresto alle autorità sudafricane. Il reato? Secondo i burocrati di Zurigo, essere troppo bionde, troppo sexy e troppo arancioni era un inequivocabile riferimento alla pubblicità olandese. Così i poveri steward, al posto di quaranta bionde mozzafiato, si sono trovati davanti ancora una volta trenta panzoni rossicci con in corpo più birra che altro. Speriamo che l'abbiano presa bene...

martedì 15 giugno 2010

La Ricerca del Lavoro

Sperare che arrivi un sms da una ragazza o una telefonata che ti offra un lavoro sembrano cose profondamente diverse per chi ha un briciolo di cervello. Ma per chi (e parlo di me) non è mai stato bravo a gestire la tensione dell'attesa, le similitudini si sprecano.
Come un ragazzo che ha problemi di cuore, infatti, ormai da qualche mese mi trovo a controllare il cellulare ogni tre minuti per paura di essermi perso una chiamata lavorativa (che regolarmente non c'è), e quando il telefono vibra più a lungo che per un semplice sms, vorrei materializzare sul display un numero magico che mi dia una bella notizia. Purtroppo, però, Schopenhauer aveva torto: il mondo non è volontà e rappresentazione.
Non pensavo che fosse così difficile trovare lavoro. E' vero, da almeno due anni tutti i telegiornali di questo paese (anche quelli più "ottimisti") non fanno che ripetere come sia profonda la crisi dell'economia e quanto stia crescendo la disoccupazione, specie tra i giovani. Ma, come sempre, fin quando non sperimenti in prima persona le difficoltà che si incontrano per entrare nel mondo del lavoro, purtroppo non ti rendi conto di cosa quei servizi stiano dicendo davvero.
E così, impegnato come ero nella chiusura della mia attività precedente e in ciò che ne seguiva, non ho guardato in faccia la realtà e mi sono illuso che avrei trovato qualcosa di accettabile, in qualche modo. Invece, il percorso che mi sono trovato di fronte è stato tanto arduo e complesso (leggi impossibile), quanto avere un appuntamento con Charlize Theron. Senza contare che poi, se tutto va bene, non esci con Charlize Theron ma vai a lavorare.
Agenzie interinali (che nome orribile), internet, concorsi, colloqui (anche lontano da casa), promesse, progetti, profili dati e restituiti non hanno prodotto un bel niente in questa prima metà del 2010. E mentre sale la temperatura, scendono le mie aspettative di trovare qualcosa di stabile prima dell'autunno (magari!). A chi mi chiede perchè non ho sfruttato qualche amicizia, rispondo: "Hai mica il numero di Charlize?".

lunedì 14 giugno 2010

Forza Azzurri

Forse sono un fiorentino atipico, ma fin da piccolo la mia passione per la Nazionale italiana è sempre stata tanto grande quanto quella per la maglia viola (per la quale sono reduce da un'ora in banca a compilare i moduli per la tessera del tifoso). Certamente il tifo per l'Italia non dura tutto l'anno come quello per l'amata Fiorentina (per la quale sono intrattabile da sempre la domenica pomeriggio) ma è ugualmente molto intenso negli mesi di Giugno- Luglio degli anni pari.
Al contrario di tanti, ho pianto per il rigore di Baggio, non ho dormito per la sconfitta in finale all'Europeo del 2000 e ho goduto immensamente dopo la vittoria ai rigori di quattro anni fa contro i galletti dell'antipatico Domenech.
Magari sarà stata l'orribile mascotte di Italia '90 (ma chi l'ha pensata?), che accese per prima i miei sogni di bambino, o forse le vacanze studio adolescenziali tra Londra e Parigi che stimolarono questo sentimento di forte appartenenza nazionale, ancora oggi intatto in mezzo a tanta vergogna di far parte di un paese in cui un Ministro della Repubblica non sa chi gli ha pagato la casa e un Presidente di Regione sostituisce per ideologia politica l'Inno di Mameli con il "Va' Pensiero". Per non parlare di tutto il resto.
Qualsiasi cosa sia stata, comunque, tifare Italia per me non è tifare Juventus, Milan o Inter, come pensano in molti. Tifare Italia è tifare per un sogno, è sostenere una passione, è preservare il mio orgoglio di essere italiano. E fiorentino.

domenica 13 giugno 2010

Comandante Maradona

Barba lunga, sigaro in bocca, amico di Fidèl Castro, argentino. Anche se può sembrare strano, non sto parlando del Comandante Che Guevara ma di Diego Armando Maradona, il più grande giocatore di tutti i tempi, oggi commissario tecnico della nazionale albiceleste. All’inizio non avevo dato troppo peso a queste coincidenze, ma dopo aver visto il film di Steven Soderbergh “Che- l’argentino” il nuovo look di Maradona mi è sembrato subito un riferimento al più famoso dei barbudos. Forse sto dicendo una serie di castronerie (leggi s*******) ma secondo me non è un caso che Diego si sia conciato così per il suo esordio da seleccionador in un Mondiale.
A mio avviso, il pibe de oro pensa di essere il nuovo Che, un condottiero che non ha l’obiettivo di rendere migliore il Sudamerica e forse il mondo intero, ma quello di riportare l’Argentina sul tetto del mondo dopo 24 anni da un titolo mondiale vinto proprio grazie a Maradona, ai suoi dribling ubriacanti, che nemmeno alla Playstation riescono più, e alla Mano de Dios, dura beffa per l’Inghilterra nemica dai tempi della guerra delle Falkland/ Malvinas.
Non so se Maradona riuscirà nel suo disegno rivoluzionario e se manterrà la promessa di vagare nudo per Buenos Aires in caso di vittoria iridata. Quello che penso di sapere è che, dopo aver escluso dai Mondiali un giocatore del calibro di Cambiasso e aver impiegato per soli cinque minuti il Principe Milito, dopo aver indossato un completo da film di Brian De Palma e aver mangiato una pera in conferenza stampa, presto Diego l’argentino si presenterà davanti alle telecamere e dirà al mondo intero: “Patria o muerte!”.

sabato 12 giugno 2010

Insonnia

Devo dire che ho sempre sofferto di insonnia. In realtà me ne vado a letto presto con buoni propositi, certo che troverò alla svelta la posizione giusta, che i miei occhi si chiuderanno in quattro- cinque minuti e che di lì a poco sarò su un tappeto volante a vedere Firenze notturna sotto di me (sogno poetico), oppure che annasperò per il deserto alla ricerca di un po' d'acqua (sogno da indigestione), o che sarò perseguitato dai corpi delle vittime di Teddy Daniels alias Andrew Laeddis che riaffiorano dal fiume (colpa di Shutter Island, che vaga come una meteora qua e là per la mia fase rem).
Invece niente di tutto questo accade e mi trovo a fissare il soffitto con l'ora proiettata dalla sveglia che, con il suo colore rosso fuoco, scorre inesorabile verso l'aurora. E allora penso ai possibili rimedi: contare le pecore è quello più gettonato ma ci sono nottate in cui potrei arrivare a cinquemila senza batter ciglio e magari rimanere sveglio in mezzo a un dormitorio di lana bianca.
Allora decido di non dormire, penso di sfruttare il tempo in altro modo, magari leggendo fino alle sei per poi uscire a fare un po' di jogging, cosa che- detto per inciso- non mi farebbe affatto male.
Più determinato che mai scendo dal letto e scelgo un giornale, un libro o un sito da consultare concentrato. Infondo mancano solo poche ore all'ora stabilita per la corsetta.
Passo un'ora, due, più attento che mai alla mia attività da insonne ed ecco che, arrivato alle cinque, gli occhi mi si chiudono. Scivolo finalmente in un sonno profondo.
Sogno di essere su quel tappeto e vedo Palazzo Vecchio: lo potrei toccare ma c'è qualcosa sotto che mi impedisce di farlo. E' un piccolo suono dentro la mia testa che si fa via via più forte.
Allora apro gli occhi e mi rendo conto. Sono le otto e mezzo e ho dimenticato di togliere la sveglia.

venerdì 11 giugno 2010

Iniziano i Mondiali

Se penso ai Mondiali mi viene in mente Topolino. Può sembrare un po' strano in effetti, ma ho imparato la storia della Coppa del Mondo attraverso un numero speciale di Mickey Mouse.
Era il 1990, io avevo solo 9 anni e vedevo il calcio come un momento di unione nella mia vita che già all'epoca era un po' disordinata. Mio nonno mi regalò questo enorme numero a colori di Topolino e io cominciai a leggerlo avidamente, immagazzinando ogni dato nella mia mente che allora era assai più fertile di adesso. Così conobbi Meazza, Leonidas, Ghiggia, Pelè, Eusebio, Cruyff, Paolo Rossi e Maradona. Mi appassionai talmente tanto ai Campionati del Mondo che ancora da allora ne vivo l'inizio con la stessa felicità ed emozione. Oggi più di allora mi rendo conto che scansiono la mia vita in periodi corrispondenti al susseguirsi dei Mondiali e spesso mi trovo davanti alla stessa considerazione: sembra ieri e sono già passati quattro, otto o dodici anni.
Non so come sarà questo Campionato del Mondo: se incredibile e vincente come quello di quattro anni fa o deludente e discutibile come quello di Giappone- Corea.
Di sicuro sarà un'edizione importante perchè porta il calcio mondiale in Sudafrica. Uno sport globale in un paese fino a pochi anni fa diviso dall'apartheid. Waka Waka.

giovedì 10 giugno 2010

Scusa David

Non avevo in mente un titolo per questo esperimento di blog che sto costruendo e allora ho pensato alla frase che ho detto di più durante la mia esperienza radiofonica. Quando intervenivo per segnalare il gol di questa o quest'altra squadra, la mia imperdibile interruzione iniziava sempre con uno "Scusa David". La parafrasi irriverente dello "Scusa Ameri" di Tutto il calcio era piuttosto chiara, ma non so quanti degli ascoltatori l'abbiano mai capita.
"Scusa David" vuole quindi essere un modo per intervenire su molteplici argomenti (le mie giornate, i miei viaggi, il mio lavoro (speriamo), la politica e naturalmente il calcio) senza alcuna pretesa di completezza o di ragione. Ma soprattutto questo blog vuole essere uno spazio per dire tutto quello che mi passa per la testa.
A scanso di equivoci, mi scuso subito con chi, navigando, dovesse incagliarsi nel mio piccolo scoglio per le castronerie (volevo scrivere s******* ma sarebbe stata una parolaccia) che ci troverà scritte.
A presto!