martedì 25 gennaio 2011

L'appuntamento

Questa volta non si tratta di scriverle, parlarle, leggere le sue risposte, ascoltare quella voce timidamente romantica. Questa volta si tratta di vederla. Sta arrivando -così mi ha scritto- e la mia testa cerca di concentrarsi su quello che bisogna fare.
Anzitutto sistemare la camera, dove la busta delle camicie stirate è sempre in bella vista e deve essere nascosta entro i prossimi dieci minuti. Mi ci dedico velocemente, apro l'armadio e le camicie sono nello scaffale mobile (rotto ormai da tempo immemore) in un batter d'occhio. Peccato che lo scaffale mobile ceda e si porti dietro tutti gli scaffali mobili sotto di sè, in una sorta di rovinoso castello di carte di compensato.
Ricostruito l'interno dell'armadio, mi dedico a sistemare il divano, da sempre ridotto malissimo in casa mia. Metto i cuscini nella giusta posizione e ne sono soddisfatto. La morbida eccitazione dentro di me prende la forma dell'orologio targato Ikea che scandisce il passare di quei momenti di attesa.
Proprio mentre il mio conto alla rovescia si avvicina allo zero, ecco che mi ricordo il dettaglio fino a quel momento nascosto nell'ombra della curiosità mista a frenesia: non mi sono fatto la barba!
Scatto in piedi, apro la porta, cerco schiuma e lametta e comincio l'opera di deforestazione della mia faccia. Peccato che la lametta tagli una bollicina e che il sangue scorra copioso da quel piccolo e insignificante taglio.
Proprio mentre cerco di tamponare il disastro con un pezzo di carta igienica, sento vibrare il telefono. Leggo il suo nome sul display: il mio cuore è tutto un sussulto.
Mi dice che non riesce a trovare la mia strada, mi precipito giù a cercarla. Quando la vedo, capisco che è ciò questo da un mese a questa parte desideravo. Mi colpisce il suo sorriso, così ampio. Mi stupiscono i suoi occhi sinceri e i suoi riccioli infiniti. Mi piace sentirla parlare e guardarla allo stesso tempo. Di lì a poco non conterà più niente, nè la mia bollicina sanguinante, nè la piccola distanza che ci separa da casa mia.
Di lì a poco vivremo in una realtà sospesa, tanto esaltante quanto voluta, tanto dolce quanto naturale.

venerdì 21 gennaio 2011

Gente della notte

Il portone sotto casa mia si chiude violentemente. Fuori è gelo. Il freddo ti taglia come un coltello ben affilato, di quelli che vendono in televisione. La serenità è ormai un ricordo lontano: ciò che mi aspetta è buio come quell'ora del mattino, è solitario come la strada silenziosa che dà sollievo alle mie notti insonni.
Nel buio vedo una figura che mi fissa. Ha un piumino blu, con il cappuccio tirato per coprirsi dal freddo. Ha un golf chiaro, strappato all'altezza del collo alto. Ha un viso che non riesco a scorgere, fatta eccezione per un grosso taglio sulla guancia. Mi sposto velocemente per arrivare alla macchina, non so cosa voglia da me.
Mi raggiunge improvvisamente nel buio, ha la pelle bianca come un cadavere. Mi guarda con aria saccente, ormai è chiaro che sta per rivolgermi la parola.
Un po' timoroso, controllo che non abbia cattive intenzioni, pronto a difendermi in ogni caso. Lo diceva il mio oroscopo che non era una gran giornata nemmeno oggi -penso- ma così brutta proprio no.
E invece quel tizio inizia a cantare, inspiegabilmente. Lo guardo incredulo, come si guarderebbe un buffone, come si osserverebbe un tipo senza cervello. La canzone è melodiosa, non è il rock per il quale impazzisco, ma è lo stesso orecchiabile.
Parla di una passione, una soffice passione allontanata dopo una notte di incubi. Racconta di un uomo che si trova rallentato dalle paure della sua dama. Quell'uomo non capisce, si guarda intorno, cerca di scorgere tra gli eventi di quei giorni un errore, un piccolo sbaglio che abbia distrutto tutto.
Forse la pressione, forse la chiarezza di certe espressioni, forse l'onestà, forse l'intensità del desiderio con cui voleva stringerla a sè. Forse il fatto che non ci potrà mai essere solo amicizia quando hai voglia di vedere una persona e quando brami di sentirla con quella travolgente intensità.
Tutto questo cantava quella persona con il cappuccio alzato, e lo faceva con una sofferenza propria del sonno interrotto, quando speri di recuperarlo prima che faccia buio e invece rimani tutto il giorno appeso alla speranza che non sia finita lì.

martedì 11 gennaio 2011

Sogno o son desto?

L'entusiasmo, la piccola imperfezione nelle mie parole. Il leggero tremolio delle mie mani, l'impalpabile rossore sulle mie guance. Un unico pensiero, una sola emozione. Un impercettibile dubbio, un grande sogno nella mia notte.
La sua voce era leggera, lieve, soffice, passava sopra ad ogni mia risposta, aveva il potere di ammaliarmi, quasi fossi un serpente incantato dalla musica delle sue parole, dall'armonia delle sillabe che emetteva, dalla tranquillità delle sue risate.
Il suo accento era pungente come certe serate del nord-est, era un piccolo tesoro che mi sgrezzava con la sua sottile perfezione, che mi animava nemmeno fosse ossigeno e io fossi cianotico in attesa delle sue parole.
L'emozione lasciava presto spazio al dubbio, come sovente mi capita. Il dilemma è presto detto: e se una ragazza così non esistesse? E se fosse la proiezione delle mie notti insonni rivolte ad aspettarla? E se invece fosse vera, perchè non la vedo? Perchè, malgrado una così piccola distanza, non siamo ancora riusciti ad incrociare i nostri sguardi?
L'unica risposta possibile è legata al mio sogno. Un grande corridoio a dividerci, le sue parole a rassicurarmi: arrivo -mi dice mentre guardo una rivista- aspettami seduto su quel divano. Mi metto comodo, attendo fiducioso il primo appuntamento senza avere paura, con la convinzione che alcune cose siano tanto più belle, quanto arrivino con pazienza, quanto siano gustate goccia a goccia, nel buio di una notte piovosa.
Dopo che la mia attesa rischiava di farsi vana, eccola apparire da una porta bianca. E' vestita con una maglia chiara e un paio di jeans. Mentre mi avvicino per salutarla -finalmente- sento l'odore di Night, il profumo di Armani. Mi faccio avanti per baciarla, e, d'improvviso, il sogno si interrompe. Mentre cerco di svegliarmi, capisco che niente di quello che ho vissuto può essere vero: la maglia chiara, i jeans, il profumo sono tutte proiezioni della mia fase rem.
Tutto, tranne una cosa, che però non mi è permesso rivelare. Almeno fin quando rimarrà un sogno.

mercoledì 5 gennaio 2011

Caro amico ti scrivo...

Alla soglia dei trent'anni, avrebbe ormai dovuto sapere cosa fosse l'amicizia, una parola che racchiude un significato che va al di là delle otto lettere che la compongono e si promana nel profondo di un sentimento molto diverso da quello che provava in quei giorni per una ragazza da poco conosciuta. Un sentimento, quest'ultimo, carico di curiosità e di esaltazione, molto simile alla sensazione di annusare un fiore appena sbocciato e avvertirne l'impareggiabile dolcezza.
Ma l'amicizia riesce a scendere nelle viscere, ancorandosi bene a tutto ciò che è esperienza di vita e se ne alimenta, diventando più forte tanto più passa il tempo. Per questo un'amicizia tradita, offesa, dileggiata, assume un senso nauseabondo molto simile a una bolla che senti nello stomaco, consapevole di non poterla espellere.
Gli eventi della giornata l'avevano messo a dura prova, si sentiva deluso, amareggiato, spento. Molti sostenevano che lui fosse permaloso, che il suo carattere cocciuto dovesse sempre cercarsi qualcosa di cui lamentarsi e sparlare. Ma in quella notte a lui non sembrava che le cose stessero così. Pensava di aver sbagliato a mettersi a lavorare in un ambiente come quello, troppo diverso da lui, troppo frenetico e troppo gestito da un suo amico.
E' inevitabile che il lavoro logori l'amicizia, e questo lo sapeva. Quello che non sapeva è che ci sarebbe rimasto male. Quello che non conosceva era quello stato di inquietudine, di incertezza sul da farsi. Si chiedeva se convenisse lasciar perdere tutto: il lavoro, i soldi, le promesse di un contratto e tenersi l'amicizia o se andare avanti in quell'ambiente lavorativo, cercare di mantenere la stessa responsabilità e passione che lo caratterizzavano e dire per sempre addio a quella amicizia, divenuta ormai ingombrante.
Lo tormentavano le gelosie di coloro che, animati da un istinto da iena, non aspettavano altro che il momento giusto per mettere i bastoni tra le ruote, per sentir bisticciare i due grandi amici.
Più rifletteva sulla conversazione appena avuta, più si convinceva che gli avesse dato noia il tono inquisitorio con cui era stato trattato dal suo amico. Lo infastidiva una certa mancanza di fiducia che traspariva dal colloquio, risentiva ancora risuonare nella sua testa la parola folle riferita ad una sua convinzione.
L'amarezza scendeva sempre più nel profondo come il calore di un bicchiere di whiskey, come l'accetta del taglialegna nel tronco dell'albero.
Un piccolo ticchettio lo fece sobbalzare mentre pensava al modo migliore in cui avrebbe dovuto comportarsi. Si ritrovò senza pensieri, con quel piccolo mondo sempre più lontano.