giovedì 26 agosto 2010

Horror vacui

La paura del vuoto non è per me un concetto psicologico, artistico o scientifico. Nel mio caso, infatti, affronto pressochè tutti giorni un horror vacui molto più concreto.
Cominiciando a spiegarmi meglio, è bene che premetta che il vuoto di cui sto parlando è un vuoto di lavoro, da non confondersi (attenzione) con il vuoto lavorativo, cioè la paura di rimanere senza un posto di lavoro stabile. Quest'ultima eventualità non mi tocca per adesso semplicemente perchè non ho un lavoro fisso e quindi -per dirla con un proverbio cinese- "occhio non vede, cuore non duole".
La paura del vuoto di lavoro è invece il timore di stare in ufficio senza avere niente da fare. Se, infatti, le mattinate volano quando sei pieno di scartoffie sulla tua scrivania e quando hai decine di pratiche da controllare e ti sembra di essere un ghepardo da come ti muovi veloce nella giungla delle difficoltà che ti si propongono, quando alle 11.10 ti trovi, con la pausa caffè già fatta, senza più nulla da evadere, ti senti una tartaruga imbranata senza il suo guscio e l'ora della pausa pranzo (normalmente le 13) è più lontana dell'Australia e non arriva mai a consolare il tuo pietoso stato d'animo.
Adesso che sono le 14.05, con la pausa pranzo fatta (per fortuna dal salumiere e non dal benzi-ristorante), mi trovo nella stessa condizione di cui sopra, con la sostanziale differenza però che adesso sto aspettando le 18 senza sapere più cosa inventarmi, avendo già fatto tutto il mio lavoro.
Questo quindi è il mio horror vacui odierno. Senza pensare a cosa accadrà domani...

venerdì 13 agosto 2010

Vacanze

Più che dal ritmo incalzante di London Calling, la mia vacanza londinese è stata caratterizzata dalla euforia incessante di Lust for Life, passando per la perfezione del Britpop, racchiusa in Common People dei Pulp, che in qualche modo riporta alla mente la metamorfosi di certe serate che iniziano lente e piano piano diventano notti indimenticabili, in cui il divertimento raggiunge il top quando aspetti, seduto su un muricciolo, un Double Deker con la scritta 74 che non arriva mai.
Un hotel imbarazzante (probabilmente il più brutto che abbia mai visto) ci ha accolti, con le sue porte cadenti e la ruggine nel bagno, che stava lì dai tempi della Tatcher, o forse dei Beatles, chissà. Un letto scomodissimo mi ha poi rapito, con le sue molle appuntite da tortura per la mia schiena, condannata con il mio corpo a un difficile sonno.
A una rapida sveglia ci pensavano invece le tende rotte. E grazie a loro aprivo gli occhi giusto in tempo per vedere l'aurora londinese, ancora nel mezzo del sonno testimoniato dalle grandi occhiaie che arricchivano di un color oliva la mia faccia pallida in perfetto stile british.

Per fortuna che il giorno e la notte pensavano a riabilitare la mia permanenza in Inghilterra, tra il piacere morboso di vedere Londra al mattino e la sempre maggiore voglia di viverla di giorno nei suoi pub pieni di birra e di fritto (il primo che mi offre una patata fritta lo gonfio) e di notte nei suoi club pieni di divertimento a ritmo di rock.
Che bella Londra, avrei voglia di trasferirmi domani e, se trovassi un lavoro, lo farei senza dubbio alcuno. Purtoppo i sogni difficilmente si realizzano e questo mi sembra uno di quelli che rimarrà bianco, come la tela di un'artista che ha perso l'ispirazione senza saper perchè.
Al mio ritorno ho ritrovato la mia piccola casa fiorentina, i miei parenti sempre splendidi e i miei pensieri sempre più strutturati, nemmeno fossero cresciuti dopo una settimana di black out.
E adesso ho ritrovato anche la spiacevole sensazione di essere raffreddato, con il naso tappato e la voce molto simile a quella dei trans che popolano (qualcuno anche di giorno) le strade qua intorno.
Lunedì si ricomincia: settimana tipo di lavoro e radio domenicale, senza dimenticarsi lo studio, un po' trascurato in quest'ultimo periodo. Putroppo il periodo più bello di questa pazza Estate è ormai alle spalle. Diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.