lunedì 13 settembre 2010

Ho visto cose che voi umani...

Mi girai e lo vidi. Sempre elegante e forbito nell'eloquio, con un occhio guardava il pc e con l'altro scrutava maliziosamente le mie giovani colleghe. Faceva un rumore fastidioso con il suo lento sogghignare: sembrava che stesse cercando di conquistare le sue interlocutrici con le sue affabili parole e con quelle sterili battute che non avrebbero fatto ridere nemmeno una ragazza ubriaca il venerdì sera.
Il Tenente Colombo -così lo chiamavamo per via dell'occhio ballerino- era sempre in cerca di nuove conquiste. Era ossessionante, non mollava l'agognata preda nemmeno per un secondo, cercava di circuirla in ogni attimo della conversazione. Pensava di essere un Don Giovanni guercio, ma era certamente l'uomo meno desiderato e più scansato di tutto quel piccolo universo. Forse avrebbe voluto essere un latin lover ma in realtà era più simile alla speranza che non si realizza mai, nemmeno dopo mesi di astinenza, nemmeno da solo su un'isola deserta.
Era strano che percepissi la sua diffidenza: non me ne fregava niente di lui e dei suoi modi da galantuomo di terza categoria. Ma quella diffidenza era forte e penetrava nel mio animo rinfrancato dal precedente finesettimana pieno di novità. Chissà, forse aveva capito che non lo sopportavo. Forse era semplicemente più infastidito della mia presenza di quanto io fossi della sua.
Mi spostai dal raggio del suo occhio sinistro e, come per magìa, quello cominciò a seguirmi, improvvisamente meno attento alle ragazze che lo circondavano e più incuriosito dal mio incessante messaggiare.
Sembravamo su due universi paralleli: lui scriveva al computer guardandomi, e io lo guardavo incidendo i miei polpastrelli sulla tastiera a sfioro del mio cellulare. Appena inviato il primo sms, cominciai a fissarlo e lui fece altrettanto, coi suoi occhi finalmente uniti sulla stessa immagine. Era sul punto di dirmi qualcosa: la sua mente stava articolando una domanda indiscreta, un interrogativo ozioso al quale io avrei cercato di non rispondere.
Proprio mentre Colombo stava per rompere gli indugi, il mio telefono iniziò a vibrare per il messaggio di risposta e, come se non bastasse, il pc davanti a lui iniziò a emettere un piccolo suono tanto fastidioso quanto la sua odiosa risata.
Mentre ero concentrato sulla lettura del secondo sms, lo sentii agitarsi per quell'imprevisto informatico, che aveva cancellato tutto il suo lavoro. Se ne uscì di corsa con un occhio fuori dall'orbita e l'altro fermo nella sua rabbia cocente per l'accaduto. Quando alzai gli occhi non c'era più traccia di lui e della sua diffidenza. Un messaggio ti salva la giornata, a volte. O forse spesso.

lunedì 6 settembre 2010

Sensazioni

Il venerdì sera è sempre un momento fantastico: sei appena uscito cotto da lavoro e hai davanti due giorni di spazio vitale, non compressi dalla sveglia mattutina o dalla pausa caffè pomeridiana. Sei rilassato, e ciò che dentro di te era teso per la settimana appena trascorsa, si allenta piano piano, come un nodo stretto troppo poco per poter resistere agli eventi della giornata. Se prima cercavi con ansia quel momento di pace, adesso lo hai finalmente trovato e devi solo coglierne l'essenza nel silenzio del tuo cervello che piano piano riprende a pensare in 3D, senza più appiattirsi al sistema numerico binario del lavoro davanti al computer.
Quel venerdì sera però era ancora più eccitante del solito, c'era qualcosa che lo rendeva speciale. Era una sensazione di attesa mista a curiosità, di insicurezza mista a timore, di felicità mista a esaltazione. Le sensazioni si mescolavano in un frappè di sentimenti e aumentavano di ora in ora, per nulla scalfite dal ticchettio ronzante di un orologio o dal rumore silenzioso di un condizionatore.
Improvvisamente un telefono inizia a vibrare, un nome appare sul display, la sensazione si fa sempre più forte, assordante, onnipresente. Esplode l'orologio, il rumore del condizionatore diventa la sirena di una nave. Il frappè è finito definitivamente sul pavimento.
L'attesa è terminata, il treno è arrivato alla stazione. Dal fondo del binario si avvicina lentamente una figura radiosa. Sei consapevole che questo è solo l'inizio. Ti sembra un sogno, e forse lo è.

mercoledì 1 settembre 2010

Ricomincio da capo

Phil Connors, alias Billy Cristal, è un insopportabile metereologo televisivo, che, catapultato in una piccola città della Pennsylvania per il Giorno della Marmotta, ogni mattina si trova a rivivere sempre la stessa giornata. Per mia sfortuna, la trama di "Ricomincio da capo" si addice perfettamente alla mia quotidianità.
Vi posso assicurare che, se cercassi qualcosa che mi fa arrabbiare più di quello che mi è successo anche oggi, troverei almeno tre milioni di cose. Un gol fantasma concesso all'avversario nella prima di campionato è certamente molto più fastidioso per i miei gusti, e, allo stesso modo, una nuova rigata sulla mia splendida macchina, o l'ennesima scadenza delle tasse, sono estremamente più distruttivi per la mia pazienza swarovskiana.
Tuttavia, se cercassi qualcosa che odio più di ciò che mi è ricapitato oggi, difficilmente lo troverei. Io odio l'improvvisazione sistematica, la rincorsa continua di qualcosa che non è ben chiaro neanche a chi ti chiede uno sforzo o un documento in più. Considero questo modo di fare piuttosto infantile e sintomo di mancanza di chiarezza interiore.
Non voglio certo astrarre quanto mi è accaduto nel tentativo di carpirne una regola comportamentale o una tendenza psicologica, della quale non sarei comunque in grado di parlare.
Il mio intento è piuttosto quello di banalizzare tutto ciò e paragonarlo al lavoro nel buio di una miniera con una luce fioca sopra il casco protettivo, che illumina di volta in volta qualcosa di nuovo e non conosciuto finora.
Forse pianificare non è sempre possibile, forse chi, come me, ama la chiarezza lo fa perchè ha paura dell'incertezza e del buio dentro la miniera, però riguardare per dieci volte la stessa pratica per colpa di una spiegazione non esauriente ha lo stesso effetto di vivere sempre lo stesso giorno: una tortura senza fine.