giovedì 30 giugno 2011

La traversata nel deserto

C'era una porta a spinta tra lui e il futuro, foderata di verde con un'apertura al centro. Da lì spiava l'atteggiamento dei commissari che lo avevano esaminato: sembravano tranquilli. Chi rideva, chi scribacchiava, chi passeggiava su e giù per l'enorme aula penale al piano terra della Corte d'Appello.
Si sentiva svuotato e prosciugato dopo due settimane di clausura che lo avevano trascinato verso i punti più bassi della sua vita da studente. A due giorni dalla meta si era bloccato, gli sembrava tutto inutile, come il lento avvicinarsi ad un eclatante fallimento. Amici e parenti si aspettavano tanto da lui, e lo sapeva. Non voleva deluderli e temeva come un matto di farlo.
Aveva pianto. Da solo. Aveva assaporato le lacrime di nervosismo, di rabbia e di tensione che gli erano scivolate sul viso. Si era agitato molto e, complice il caldo, non riusciva a respirare bene. Quindi si era disteso sul divano ed era caduto in un sonno profondo.
Aveva sognato l'esame, le domande e poi, all'improvviso, si era trovato nel deserto. Camminava scalzo, in cerca dell'oasi: eccola là, sentiva l'acqua scorrere. Iniziò a bere ma il sapore era strano: forte e dolciastro allo stesso tempo. L'aveva sentito bene quel sapore mentre piangeva qualche minuto prima. Si risvegliò, era sudato. Gli occhi gonfi, la fronte rossa. Allo specchio vide sotto l'attaccatura dei capelli una vena più grossa e paonazza, che gli ricordava Harry Potter.
Ce la doveva fare, si disse. Il deserto che aveva sognato non erano altro che gli ultimi due anni della sua vita, persi in mezzo a una pratica forense di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Spaesato e senza meta, l'unico suo obiettivo era l'esame, e ora che era arrivato fin lì non poteva fallire.
L'atrio della Corte d'Appello era ancora in attesa del verdetto. Vide i commissari sedersi, ormai il suo destino era deciso. Si aprì la porta, ne uscì una giovane cancelliera. Sentì quel poco sudore che ancora aveva in corpo percorrergli velocemente la schiena. La ragazza gli fece cenno di entrare.
Appena dentro, il Presidente si alzò in piedi, segno di un'imminente proclamazione. -E' andata bene- iniziò quello -lei ha passato l'esame di Avvocato, complimenti!-.
La tensione accumulata si sciolse piano piano e sul suo viso comparve un abbozzo di felicità. Ce l'aveva fatta a modo suo. Studiando e lavorando, senza lasciare niente e con una buona dose d'incoscienza. Firmò il verbale, prese il foglio con la buona notizia e uscì dall'aula.
Vide suo babbo in lacrime. Si bagnarono anche i suoi occhi, stavolta di gioia.

lunedì 13 giugno 2011

Profondo nero

Ci era ricaduto. Un'altra volta. Autocommiserazione fatta di cemento, considerazioni senza un'ombra di luce, solitudine assoluta e asfissiante, come quella che ti prende quando sei svuotato da ogni emozione, in un locale buio che ti impaurisce più per i suoi risibili confini che per l'oscurità che lo avvolge.
Se lo era promesso seriamente: non le avrebbe dato retta, non l'avrebbe più voluta vedere nè sentire, e nemmeno immaginare nella sua trascendente bellezza che l'aveva colto impreparato in un mondo di calcoli e di schemi. Gli era sembrata finalmente un raggio di sole in quella notte duratura delle sue emozioni. L'aveva percepita così diversa dalle altre, così spontanea, così solare. Poi erano trascorsi quei mesi, e si era accorto delle sue difficoltà, delle sue spigolature così profonde, delle sue contraddizioni più evidenti, dei suoi sorrisi un po' misteriosi che nascondevano tante diverse sfaccettature.
Ed erano arrivati i litigi e le riappacificazioni, e ne erano seguite serate piacevoli senza però che ciò valesse anche per lei. Ed erano tornate le liti, sempre meno composte, che erano sfociate nell'addio.
Quello era il momento della promessa: non avrebbe più confuso il piacere e l'amore, non la doveva più vedere. E invece, come spesso accade, le promesse si infrangono ancor prima di essere eseguite e le aveva di nuovo permesso di entrare nella sua vita e l'aveva ancora una volta amata, e, senza indugio, aveva stupidamente aperto il suo cuore. Così, le ferite appena risarcite si erano subito riempite di sangue fresco e lui aveva provato a convincerla di quello che provava senza esitazioni.
Lei, sicura di non volerlo, aveva ottenuto l'opportunità di rifiutarlo per sempre, forse presa dall'esaltazione di poter avere di meglio. Non si era fatta pregare e aveva rispedito gli inviti al mittente, con mille scuse ma senza un perchè.
La delusione era di nuovo alta tra le pareti della sua casa dove viveva da uomo solitario, sentiva di nuovo i dolori passati di qualche mese prima acuirsi, sentiva che non avrebbe dormito e accettò le conseguenze della notte insonne. In quell'istante decise che non avrebbe più compiuto quegli errori, che da quel momento in poi avrebbe vissuto le sue storie con il freno a mano interiore rigorosamente tirato.

venerdì 10 giugno 2011

Pensieri inutili

Palloncini. Verdi, con su scritto qualcosa. Non riusciva a leggere, eppure vedeva le lettere che formavano un arco. Alcuni gonfi, in salute, che lo sfidavano, altri piccoli e mosci, senza significato. Ne prese uno di quelli più grandi. Non l'avrebbero avuta vinta. Doveva dare un senso a quella parola sconnessa. Forse era un nome. Nella foga lo strinse troppo forte e, d'un tratto, sotto la I si aprì uno squarcio enorme. Ne seguì un botto che lo riportò al mondo reale.
Il suono della sveglia non sarebbe arrivato: troppo lontane ancora le nove per poter sperare di dormire ancora. Aveva esagerato col cibo e ne avvertiva le conseguenze. Sentiva il bisogno di alzarsi, e così decise di disinnescare il suo cellulare a orologeria per prepararsi un tè al limone, prima di iniziare la battaglia contro uno dei sei libri che gli facevano compagnia ogni giorno, nemmeno fossero badanti che ti assistono sul finire della tua esistenza.
Tuttavia sapeva che non era solo il suo stomaco ad impedirgli il sonno mattutino, a volte così penetrante da renderlo assolutamente invulnerabile fino alle undici antimeridiane.
Le sensazioni che erano immerse nell'intestino in mezzo ai pici acciugati non avevano un buon sapore, erano piene di interrogativi, appesi come panni bagnati, che creano pozze con dentro dubbi e amarezze, che non scompaiono per una divertente serata ventosa o una triste giornata di sole.
Era geloso e lei lo sapeva, e forse questa era la cosa più facile da capire. Ma le voleva bene e le differenti aspirazioni non avevano per nulla intaccato questo sentimento. Questo, almeno per lui, non era in discussione. A differenza sua, purtroppo, coglieva molto bene l'opportunismo e l'ipocrisia che, come elio, gonfiavano qualche palloncino che vagava per l'etere intorno a lei, più immerso nella speranza che nell'aria della quale si alimentava giornalmente. Forse era questo che gli dava realmente noia.
Ma erano solo pensieri assonnati dettati dalla pressione di settimane intense. Doveva fregarsene e tacere: in fondo non erano affari che lo riguardavano. I palloncini, se non scoppiano, prima o poi volano via. Meglio preoccuparsi dei libri, che, fedelmente, rimangono lì ad aspettarti.

mercoledì 8 giugno 2011

Dieci anni, un esame

Lo studio stressante e l'incontro fiume della sera prima lo avevano riportato indietro di dieci anni, quando era in procinto di dare l'orale di quell'esame odioso chiamato maturità. Si presentava con gli scritti più che sufficienti, ma senz'altro non all'altezza di quanto si sarebbe aspettato.
Aveva un tarlo nella testa in quella mattina di due lustri or sono, e, strano a dirsi, non erano le temute domande dei commissari o le conseguenze delle sue erronee risposte. Ripensava all'incontro con lei.
Le era andato dietro per mesi e mesi con un modesto successo, l'aveva corteggiata senza respiro e poi d'improvviso i rapporti si erano raffreddati come una bottiglia di vodka in un surgelatore, lasciando spazio in lungo e in largo al ghiaccio, nemmeno tanto alcolico.
Immerso nella precarietà che ti affligge quando prepari un esame enorme -dove tutto ti sembra relativo e forse lo è- credeva di averla dimenticata. Era convinto di aver cancellato dalla testa i suoi inspiegabili atteggiamenti, troppo scostanti per una persona razionale come lui, e di aver persuaso il suo cuore di inesperto ventenne a guardare oltre, verso un esame da preparare, verso altri orizzonti più lontani, ma in quel momento sicuramente pieni di speranza e di calore.
E invece quello che aveva visto nei suoi occhi non l'aveva lasciato indifferente. Gli era sembrata una ragazza fragile, desiderosa di essere travolta da una passione che forse nemmeno lei avrebbe voluto vivere, che gli chiedeva un gesto, un colpo deciso nella sua direzione, che le facesse vivere un'emozione in quei mesi mai provata.
Oggi come allora si interrogava su quelle parole, e le sentiva bruciare dentro, lontane e vicine in uno stesso attimo, come un pendolo che scandisce il tempo, come l'acqua che là fuori scende copiosa e ti sorprende mentre pensi che tu, così diverso, cercavi le stesse cose.