mercoledì 23 febbraio 2011

Segnali dal futuro

Alessandro era lì, in mezzo agli altri. I commissari che passavano su e giù per il padiglione Nord non stavano guardando nella sua direzione in quel momento. E così, lesto come un furfante, tirò fuori dalla tasca un bigliettino con sù scritta la soluzione di quel maledetto parere di civile. Ecco la sentenza tanto cercata, era la numero 127…
- Lei cosa sta facendo- disse uno dei poliziotti, che in divisa da secondino, salivano e scendevano per i lunghi corridoi accanto ai tavoli da prima elementare che fungevano da supporto per i quasi duemila candidati. - Si alzi in piedi e venga con me, ma non si vergogna alla sua età…
Alessandro non rispondeva, ma si vergognava eccome. A quasi cinquant’anni essere beccato mentre copiava all’esame di avvocato era l’umiliazione più grande della sua vita, più di quando, anni prima, la sua vecchia capa in azienda lo costrinse ad andare a comprarle il pranzo mentre diluviava in piena estate. Ovviamente non c'erano ombrelli disponibili e lui tornò in ufficio fradicio e spettinato, con la rosea pelle in bella mostra e con i falsi addominali che testimoniavano una forma persa e mai riconquistata. Tutti i suoi colleghi lo guardavano ridendo e lui si sentiva come un pesce appena preso, con l’amo a cui aveva abboccato ancora ben infilato in bocca.
La Presidente della Commissione lo guardava con aria stupefatta: non le era mai capitato di buttar fuori un suo coetaneo. Era strana, aveva qualcosa di vagamente familiare. Più che Alessandro la guardava, più aveva l’impressione di conoscerla, di averla vista da un’altra parte che non fosse il Tribunale, che non fosse un esame affollato per l’abilitazione ad una professione che egli non avrebbe mai svolto.
Ma sì, ecco dove l’aveva vista! L’aveva ospitata a casa sua, ormai svariati anni orsono. In realtà, era stata più che una semplice ospite, era stata un’amante. O meglio, era stata una di quelle storie per cui a trent'anni faresti di tutto e che ti rincorrono nelle giornate di solitudine come meteore nell'universo.
Pensò cosa ci facesse proprio lei alla presidenza della Commissione degli esami di Avvocato. Eppure, all'epoca in cui si vedevano non sembrava proprio interessata a quel genere di professione.
Si prese una pausa da quei dolci ricordi per guardarsi intorno. E fu l'errore più grande della giornata: tutti i candidati lo stavano fissando. Una persona della sua età che si presenta a un esame suscita sempre grande stupore. Una persona della sua età che tenta infruttuosamente di copiare provoca inevitabilmente grande ilarità.
Quante volte sarà stato bocciato in questi anni, pensavano ridendo i giovani candidati, animati da una certa fretta di ottenere l’abilitazione per iniziare un percorso di indipendenza dalla famiglia, in barba a quelli che invece li considerano dei bamboccioni.
Alessandro si girò nuovamente verso la Presidente e la guardava imbarazzato, sperando che non lo riconoscesse. Pensò che per lei il tempo non fosse passato: era bella come sempre.
Aveva una giacchetta rossa di lana, per ripararsi dal freddo, e una maglia scura che metteva comunque in evidenza il suo fisico ancora in forma. Sotto, pantaloni neri e scarpe col tacco, che la slanciavano, ma che rischiavano di diventare deleteri in una frenetica giornata d’esame come quella. I capelli non erano più come l'ultima volta che l'aveva vista, era tornata al colore naturale. Gli occhi, in cui il verde spiccava per contrasto, invece, erano gli stessi in cui aveva desiderato di perdersi, tanto erano profondi e incerti, tanto erano gentili e appassionati. Proprio quando i loro sguardi si incrociarono, ebbe la certezza di essere stato riconosciuto.
Alessandro non capiva che razza d’orologio fosse, non sopportava quel fastidioso ronzio che proveniva da lì. Era sempre più forte e lo mandava in paranoia. Aprì gli occhi, la sveglia stava suonando. Una vocina metallica proferiva il verbo mattutino: sono le sette. Si trovò tra le sue coperte, un po' scosso. Cercava di scrutare la sua faccia nello specchio di fronte al letto, ma la trovò sommersa dalle occhiaie. Sentiva il fastidio di un'altra nottata persa: non era all'esame, non aveva copiato, non si era trovato davanti Lei. Ma soprattutto aveva trent'anni e qualche sogno ancora a portata di mano.

venerdì 18 febbraio 2011

In mezzo

Tra una scatola semipiena di cereali al cioccolato e uno yogurt magro, tra un pacco ancora integro di Gocciole e un succo di frutta ACE, tra un morbido copriletto blu elettrico e la copiosa pioggia di Piazza Mentana.
Tra l'inquietudine del tassista che la portava sotto casa mia e l'incerta rassegnazione dell'ultima sera, tra lo sguardo complice in un bar del Duomo e quello negato nel giorno dell'addio, tra la voglia di sentirsi al cellulare in una pausa dallo studio e l'indifferenza asfissiante degli ultimi giorni. Tra un ricciolo e un sorriso, tra una frase dolce e una risposta secca.
Tra il gioioso raffreddore da contagio della settimana scorsa e gli incessanti starnuti del mesto addio di questi giorni, tra l'amore non ricambiato di inizio dicembre e quello non corrisposto di metà febbraio.
In mezzo ci sono rimasto io, che rifletto sulla mia costante mediocrità, su quella sensazione piccola e strabordante che prende il nome di inadeguatezza. Io, che ripenso alle mie indecisioni e a quanto abbia dato e ricevuto da questa storia, se così si può chiamare. A tratti mi sento impoverito da quella strana relazione e ne avverto tutta la malinconia, come coloro che aspettano e non trovano, come quelli che trovano e vengono derubati, e devono per forza ripartire da capo.
In mezzo ci rimane una sensazione di precarietà, di impalpabile sufficienza, di pesante non detto, come quando un'impalcatura cade a causa di un'enorme imperizia, e la ricerca del colpevole prende giorni e giorni, o magari mesi, e forse, chissà, anni.
In mezzo ci rimane il consiglio non ascoltato delle più care amiche, che mi avrebbe probabilmente salvato pur lasciandomi nel dubbio, ci rimane la superbia che si trasforma in onniscienza, l'eleganza che si riduce a suburra, il romanzo che diventa piccolo racconto.
In mezzo ci rimane la sua immagine, più soave di un prato primaverile, più preziosa di un'opera d'arte, ma allo stesso tempo più che mai terrena nella sua ispida concretezza, più che mai umana nella sua fervida paura e assai crudele nella sua triste verità che non ammette alcuna replica.
Tra la felicità e il fascino, appena assaporati in questi venti giorni, e l'amarezza e la delusione del day after, costanti e pungenti nel mezzo delle notti insonni, c'è la sua espressione fredda e impassibile, pronta a tagliarmi fuori come la testa di un topo da laboratorio.