giovedì 14 ottobre 2010

Burraco al sapore di Strega

Le luci che provenivano dal capannone a sinistra richiamarono la nostra attenzione ancor prima della grande sala in fondo al vialetto. Sentivamo un crescente rumore di pattini che scavavano piccoli sentieri concentrici: era in corso un allenamento di pattinatrici. Non vedevamo i loro volti, ma ben presto fummo capaci di intuire i loro fisici atletici dalle ombre che le ragazze proiettavano sulla pista.
La porta d'ingresso della grande sala, tuttavia, era nella direzione opposta e ben presto il nostro sguardo fu costretto a individuare senza ulteriori esitazioni la meta della nostra serata.
Appena entrammo, il nostro stupore fu evidente. Pensavamo di essere arrivati nel luogo di una riunione impegnativa, affollata, calda per toni e contenuti. Invece la grande sala era praticamente vuota, senza un segnale di un dibattito in previsione.
Nemmeno un giovane intorno a noi, soltanto persone avanti con l'età occupavano tre tavoli isolati, che sembravano navicelle alla deriva dentro un oceano senza fine.
Ci guardammo imbarazzati e sentimmo ben presto gli occhi dei pochi presenti posarsi su di noi. Eravamo visibilmente fuori posto: tra una partita a tressette e una sfida di burraco, tra un chivas regal e un amaro Strega. Dopo qualche convenevole con il sorriso stampato in faccia, iniziammo pian piano a scivolare verso il fondo della sala vuota, a passi lenti, cercando di mimetizzarci tra una bussata vigorosa e un fortunato tris di pinelle. Camminavamo all'indietro, sembravamo gamberi timorosi di finire in salsa rosa. Per fortuna le diottrie dei presenti nella grande sala erano troppo poche seguire la nostra abile fuga.
Appena fuori ce ne andammo velocemente. Le luci del capannone erano spente, le ragazze coi pattini ormai sulla strada di casa. Un uomo sulla panchina si illuminò il volto accendendosi una sigaretta. Fischiettava un pezzo dei Ramones. Credo fosse Outsider

mercoledì 6 ottobre 2010

Una notte diversa da tante

Ogni mattina inizia con il fastidioso suono di una sveglia programmata con rassegnazione la sera prima, in mezzo ai rimpianti per non aver fatto abbastanza nella giornata appena conclusa.
Quel giorno, tuttavia, iniziò già la notte precedente, perchè andava vissuto senza alcuna soluzione di continuità. Non riuscivo a chiudere occhio, non potevo dormire: quello che sarebbe accaduto di lì a qualche ora era troppo importante per potersi riposare.
Nel buio intenso di quella notte -non saprei dire che ora fosse di preciso- mi tornarono in mente tutti i buoni propositi di quei mesi e tutte le vane promesse che avevano ispirato il mio pensiero ingenuo e credulone.
Riaffiorarono a poco a poco i tempi vissuti in un'azienda senza speranza alcuna di rimanervi, gli incontri improbabili su e giù per le scale che portavano al mio ufficio, tra una pratica da trasferire e un caffè perditempo da agognare. Riascoltai nella mia testa le conversazioni proibite, udite per caso (ma non troppo) nella stanza privata accanto alla mia postazione, da cui potevo sentire qualsiasi sospiro, grazie a una parete prefabbricata, non chiusa completamente, che faceva la fortuna delle persone curiose come me.
Mi si ripresentarono i fantasmi delle attese vane, quelle che non finiscono mai e che ti logorano, senza risparmiarti un solo organo e una sola sensazione di insufficienza, di inadeguatezza, di imbarazzo. L'attesa di una telefonata, di un colloquio, di una possibilità si erano d'improvviso trasformate in qualcosa di più grande e di più imprevedibile che avrebbe potuto dare una svolta alla mia vita.
Mentre ripercorrevo quegli ultimi mesi, mi venne spontaneo un confronto coi due anni precedenti, passati senza uno stipendio a fotocopiare pagine più o meno piene di caratteri Bookman Old Stile 12, con qualche altra scritta in un corsivo stentato che, anche a un'attenta lettura, sarebbe sembrata un'incerta onda anomala, che trasformava sovente le effe in pi.
Che mondo strano è quello di coloro che dovrebbero insegnarti qualcosa che probabilmente non conoscono neppure loro. Molto meglio il mondo dei narratori, che, a volte, possono permettersi il lusso di inventare una storia per non sembrare impreparati.