Le luci che provenivano dal capannone a sinistra richiamarono la nostra attenzione ancor prima della grande sala in fondo al vialetto. Sentivamo un crescente rumore di pattini che scavavano piccoli sentieri concentrici: era in corso un allenamento di pattinatrici. Non vedevamo i loro volti, ma ben presto fummo capaci di intuire i loro fisici atletici dalle ombre che le ragazze proiettavano sulla pista.
La porta d'ingresso della grande sala, tuttavia, era nella direzione opposta e ben presto il nostro sguardo fu costretto a individuare senza ulteriori esitazioni la meta della nostra serata.
Appena entrammo, il nostro stupore fu evidente. Pensavamo di essere arrivati nel luogo di una riunione impegnativa, affollata, calda per toni e contenuti. Invece la grande sala era praticamente vuota, senza un segnale di un dibattito in previsione.
Nemmeno un giovane intorno a noi, soltanto persone avanti con l'età occupavano tre tavoli isolati, che sembravano navicelle alla deriva dentro un oceano senza fine.
Ci guardammo imbarazzati e sentimmo ben presto gli occhi dei pochi presenti posarsi su di noi. Eravamo visibilmente fuori posto: tra una partita a tressette e una sfida di burraco, tra un chivas regal e un amaro Strega. Dopo qualche convenevole con il sorriso stampato in faccia, iniziammo pian piano a scivolare verso il fondo della sala vuota, a passi lenti, cercando di mimetizzarci tra una bussata vigorosa e un fortunato tris di pinelle. Camminavamo all'indietro, sembravamo gamberi timorosi di finire in salsa rosa. Per fortuna le diottrie dei presenti nella grande sala erano troppo poche seguire la nostra abile fuga.
Appena fuori ce ne andammo velocemente. Le luci del capannone erano spente, le ragazze coi pattini ormai sulla strada di casa. Un uomo sulla panchina si illuminò il volto accendendosi una sigaretta. Fischiettava un pezzo dei Ramones. Credo fosse Outsider