giovedì 30 dicembre 2010

Tempo di bilanci

Il 30 dicembre è tempo di bilanci, di speranze, di promesse. Non è troppo presto per raccontare il vecchio anno, essendone il penultimo giorno e non è il 31, quando ormai la mente è attratta da quel vortice in salsa ritorno al futuro, che da lì a qualche ora conduce tutti, inconsapevoli ma festanti, nell'anno che verrà.
Per questo, alle 8 di quella mattina, gli chiesi che cosa volesse tenere del vecchio anno e cosa si aspettasse dal nuovo. Era seduto sul mio divano, le gambe incrociate. Era alto e ben vestito, apparentemente solo. Mi guardò assonnato, inarcando il sopracciglio destro, segno di una evidente difficoltà nel rispondere. Sosteneva infatti che l'anno che si stava per chiudere non gli avesse lasciato niente, fatta eccezione per una lunga attesa del lavoro, un piccolo gruzzolo in banca e un grande senso di inadeguatezza. Trecentosessantacinque giorni senza nessun considerevole risultato, nè sul piano professionale, nè su quello amoroso.
Proprio da lì partiva la sua riflessione sull'anno che sarebbe iniziato due giorni dopo. Sosteneva infatti che gli ultimi giorni fossero stati forieri di una novità, una piccola grande conoscenza, di quelle che ti fanno impallidire mentre ti emozioni, di quelle che ti fanno scaldare il cuore mentre devi stare attento a non inciampare nel tavolino del salotto, di quelle che agogni e che non trovi mai, o quasi mai.
Mi disse che nel 2011 avrebbe voluto un sogno, una piccola poesia quotidiana, una passione, un amore. Nell'anno nuovo, poi, voleva togliersi un macigno che si chiamava esame, aggiunse che quello sarebbe stato importante per sentirsi finalmente in pace con sè stesso, per non avere quell'odiosa sindrome di una persona che si è persa per le scale e non sa quanti gradini manchino prima di arrivare al piano da lui desiderato.
Nel 2011 avrebbe voluto inoltre guardare avanti, finalmente padrone della sua vita e delle sue scelte, ma per guardare avanti avrebbe dovuto prima di tutto confrontarsi con il passato e con quel senso di inadeguatezza che aveva permeato tante delle sue giornate.
Che strano -pensai mentre mi facevo la barba- era un personaggio così familiare. Aveva la mia stessa espressione, il mio identico modo di emozionarsi parlando di alcune cose, aveva gli stessi miei desideri per l'anno che verrà.

lunedì 27 dicembre 2010

Insomnia

Le 1 della mattina. La giovane notte sta volgendo al riposo quando arriva un delicato bip dalla mie splendide cuffie bianche che fanno molto cool. Chi sta scrivendo, mi domando ansioso. Chi sta tentando di mettersi in contatto con me? I rumori della strada sono sempre vivi, le macchine fanno su e giù per questo asfalto morto che passa sotto casa mia. La sensazione è di sorpesa quando vedo quel volto che mi cerca, forse un piccolo fuocherello si accende nel mio petto: come mai mi vuole parlare? Ci sei, queste sono le lettere che si incidono in una tastiera a centinaia di chilometri da me.
Io non resisto, e rispondo subito. La tentazione è troppo forte, ho la calamita nelle mani.
Fa freddo, eppure il riscaldamento è acceso. La luce da salotto vicino al divano illumina poco la stanza. La televisione presenta una losca figura che blatera a vuoto di fronte a me, ma i miei occhi sono troppo concentrati e presi dall'eccitazione delle sue risposte.
Sono le due, la birra sul tavolino è ormai agli sgoccioli, il caffè è rimasto nella cialda, a causa della scarsa attenzione per le prese elettriche della donna delle pulizie. Le macchine sono sempre più rarefatte qua sotto, ma quell'etereo suono che annuncia un messaggio è sempre presente nelle mie cuffie che cantano "Sailing". E' entusiasmante, illuminante, ammaliante. E' più potente di una tisana di caffè che comunque non potrei farmi. C'è una strana poesia che mi anima, una sensazione di felicità che sottende ad ogni mia risposta.
Scapperò mi dice alle tre, non ti dirò perchè mi sussurra alle quattro, mentre la luce accanto al divano mi guarda stanca e le poche macchine parcheggiate mi scrutano annoiate. Ma io non ho sonno, chiedo il perchè di tanta fermezza, ottengo una risposta che non mi sarei aspettato.
Scapperò e non ti cercherò più, mi ripete alle cinque. Mi troverai sempre, replico attento. Intanto, qualche pendolare prende nel freddo la strada del lavoro e la luce vicino a me si spenge, esausta.
La tv parla a vuoto ormai da ore ma rimane lì accesa, come se il tempo si fosse fermato secoli prima.
Andiamo a letto è il suo messaggio delle sei. Mi odi, aggiunge, mentre la finestra è sempre aperta ma stavolta fa capolino il sole. Non ti odio affatto, parlare con te è stata la migliore scelta che potessi fare stasera, penso mentre apro gli occhi per andare a lavoro. Sono le sette.

martedì 21 dicembre 2010

Al buio

La neve è ancora ai lati della strada, il freddo pungente è mitigato dal mio giaccone nuovo, che finalmente mi svecchia un po', senza lasciarmi completamente inebetito dentro un involucro troppo leggero per le temperature di questa gelata stagione.
La giornata lavorativa volge ormai al termine, per niente scossa da eventi imprevedibili, per niente amareggiata da scontri coi colleghi. Rimane però un dispiacere di fondo: essere parte di qualcosa, in modo episodico e marginale, farlo senza sentirla tua e senza pensare di avere la benchè minima considerazione per quello che produci.
Ti senti un carpentiere della notizia, un manovale della voce, pronto a confezionare il file nel minor tempo possibile, con lo studio che ne risente immensamente e il cartello affisso in camera mia (che recita: "stai attento, Venezia ti osserva"), già inascoltato dopo appena due giorni dalla sua creazione. Ti sacrifichi. Pensi di farlo per i soldi ma hai la certezza che quei soldi non arriveranno mai.
Per fortuna hai evitato la cena, ci mancava solo quella a riempirti l'inutile serata. Arriva un sms: non è quello che aspettavi. Una collega ti chiede se andrai alla festa degli auguri, tu rispondi che hai un impegno e che finirai tardi. Lei insiste, ti chiede di passare almeno per il caffè. Tu opponi una testarda resistenza, di quelle che hai opposto fin da bambino alle cose che non ti andavano a genio.
Lei fa l'offesa ed ecco che tu ammorbidisci il tuo atteggiamento, prima scusandoti incomprensibilmente e poi promettendo di fare un salto a quel ritrovo forzoso.
Dopo qualche ora, arriva il momento di andarci, tu ti liberi di corsa, dal tuo logorroico impegno. Ti metti in macchina e arrivi a pochi passi da quel ristorante in cui non avresti mai messo piede.
Le mandi un sms: specifichi che andrai solo per farle piacere e lei con cosa se ne esce? Ti risponde che ormai sono alla fine e che non importa che tu li raggiunga. Tu sei lì fuori, con il cellulare in mano e avresti voglia di scaricarlo a terra. Solo i 29 euro che devi pagare per 30 mensilità ti fanno desistere.
Una volta in macchina, ti metti in cerca di rock. Per fortuna trovi i Cure, che ti riconciliano con la notte, più buia di un pezzo dark.

martedì 14 dicembre 2010

Notte prima degli esami

Un mal di gola cronico, un taglio sguaiato di capelli, un nascondino protratto per qualche ora di troppo nella macchina di sua mamma. Se ripensa a questi episodi, gli sembrano accaduti tanti anni fa, chissà dove. In realtà il protagonista di queste tre storie è proprio lui. E si parla di quando aveva poco più o poco meno di otto anni, di quando le radio italiche trasmettevano "ti lascerò" di Fausto Leali e Anna Oxa, mentre quelle più coraggiose passavano i successi di "joshua tree" di Bono & co., subito prima di lanciare "love in elevator". Siamo partiti da questa storia perchè mi voleva spiegare. Spiegare cosa ancora non lo sapevo. Continuava imperterrito a parlare, mentre i miei occhi assumevano un'espressione sempre meno intelligente e la mia pelle diventava man mano più olivastra per via dell'orario, sconveniente al massimo per un esaminando come me.
Alla fine si decise a spiegare il perchè di quelle storie così lontane: era solo un bambino, ma covava già, senza predisporre i necessari anticorpi, la maggior parte dei difetti che avevano caratterizzato i suoi primi trent'anni.
La presunzione di sapere già cosa gli dirà il suo commensale, l'ambizione di conoscere ciò che farà piacere alle persone che lo circondano, o che incontra e un' innata vocazione ad essere influenzato dai pensieri altrui, rivelatrice senz'ombra di dubbio di un'insicurezza di fondo che percepisce ancora, a distanza di così tanto tempo da quei curiosi episodi. In particolare, è inconcepibile l'incapacità di cambiare schema nei rapporti umani e in quelli con l'altro sesso, che denota una inclinazione calciofila nell'affrontare le amicizie, le passioni e gli amori, o almeno quelli creduti tali.
Nella sua spiegazione fiume, arriva finalmente il nocciolo della questione e l'ultima storia che mi racconta è legata a una ragazza.
Molto bella, forse più bella di lui, il nostro amico dalle idee geniali decide di corteggiarla, spinto da miti consigli di una sua amica ancor più bella. Non si preoccupa di una certa parsimonia della sua corteggiata nel rispondergli, costruendo nei rarefatti sms un film tutto suo, che prevedeva amore, famiglia, anni e anni di felicità, proprio quella di cui sentiva la mancanza in quel momento. Una felicità stabile, slegata dagli eventi quotidiani, che assorbisse e forse guidasse la sua vita.
Come accade sovente in queste cose, più vai in alto più cadi sotto terra. Ma, pur rendendosene conto, lui era partito in quarta e andava diritto per la sua strada come un pandino che prende un senso unico ignorando il divieto e poi viene inevitabilmente schiacciato da un tir.
E così il nostro amico si è schiantato contro l'autotreno che non ti corrisponde e a me tocca l'arduo compito di consolarlo, di riappacificarlo con sé stesso e i suoi drammi da disilluso, molto più piccoli di quelli del bambino nascosto nella macchina che aspettava che qualcuno andasse a cercarlo. Saprò essere convincente? Saprò recuperarlo a quest'ora della notte, con un esame che fa capolino tra la luna e Sirio e mi sussurra, prima dolcemente, poi sgarbatamente, quasi con fare da orco, di andarmene a letto?